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Medieval angels between hierarchies and history
The essay’s purpose is to expose the nature of medieval debate about angels and, at the same time, to investigate the reception of 2 crucial texts for angelology over the centuries: De celesti hierarchia by Pseudo-Dionysius the Areopagite (and consequently also De hierarchia ecclesiastica by the same author) and the biblical Book of the prophet Daniel, containing the famous episode of the fight, or pugna, between the Angel of Jews and the Angel of Persians. In particular, regarding this last text, a common thesis emerges in the various authors: the unfolding of history is the representation on the Earth of the celestial struggle between the angels of the different peoples, in order to realize the Will of God. Moreover the article is not limited to exposing the positions of these authors on the aforementioned theme, but also explores their use in the fierce disputes of the time, both theological (the struggle between secular clergy and mendicant orders) and political (the fight concerning temporal power between papacy and Empire).
Scopo dell’articolo è quello di mettere in evidenza la natura del dibattito medievale sul tema degli angeli e, allo stesso tempo, indagare sulla ricezione di 2 testi fondamentali per l’angelologia nel corso dei secoli: il De celesti hierarchia dello Pseudo-Dionigi Areopagita (e conseguentemente anche il De hierarchia ecclesiastica) e il libro biblico del profeta Daniele, contenente l’episodio della lotta tra l’Angelo degli ebrei e quello dei Persiani. Con particolare riguardo a quest’ultimo testo, tra i vari autori emerge una tesi comune: il dipanarsi della storia è la rappresentazione terrena della lotta celeste tra gli angeli dei diversi popoli, al fine di realizzare la Volontà di Dio. Inoltre l’articolo non si limita ad esporre le posizioni di diversi autori medievali sulle suddette opere, ma esplora anche il loro utilizzo nelle aspre contese del tempo, tanto teologiche (la lotta tra clero secolare e ordini mendicanti) quanto politiche (la lotta per il potere temporale tra papato e impero).
Per uno studioso del pensiero medievale, ed in particolare della storia delle idee del periodo basso-medievale, un seminario dedicato all’angelologia è una occasione di grande interesse, non foss’altro perché le discussioni angelologiche degli autori più o meno noti di quella che siamo usi chiamare “Scolastica” sono da alcuni lustri oggetto di rinnovata attenzione. Vorrei qui solo ricordare gli studi di Barbara Faes de Mottoni[1], di Andrea Tabarroni[2], di Costantino Marmo[3], sul linguaggio angelico, la lunga ricerca di Tiziana Suarez Nani, che di recente è ha pubblicato ben due monografie, di cui una porta il titolo significativo “gli angeli e la filosofia”[4], mentre l’altra si concentra su conoscenza e linguaggio degli angeli[5], mentre nel più recente numero della rivista dedicata a Pietro di Giovanni Olivi Sylvain Piron edita una quaestio del maestro francescano sul linguaggio angelico[6]. Sempre di più, in questi anni, si è evidenziata, da parte degli studiosi del pensiero basso-medievale, una coscienza del fatto che i dibattiti sulla funzione cosmologica delle sostanze separate, sulle modalità conoscitive degli angeli, sulla loro capacità di interferire con il processo conoscitivo degli individui, ed infine le modalità della comunicazione tra di loro, sono altrettanti luoghi (ed il pensiero medievale della Scolastica, più che un sistema, tende ad avere una “geografia”) nei quali i filosofi dell’epoca si esercitavano su problemi teorici che riguardavano angeli e uomini assieme. Un sguardo ai Commenti alle Sentenze di Pier Lombardo ci mostra che, chiedendosi come si possa parlare di movimento dell’angelo, i pensatori medievali sollevano questioni di fisica, discettando di come l’angelo conosca si discute della gnoseologia a prescindere dalla datità sensoriale, riflettendo sulle modalità di comunicazione tra gli angeli, in verità, si filosofeggia sul linguaggio in sé, al di là del dato di fatto della fonazione sensibile e della produzione di segni fisici, naturali o convenzionali che siano[7]. Chiedere agli enuntiatores divini silentii la verità sul linguaggio, ci si rende sempre maggiormente conto, costituiva per i medievali anche una specie di complesso Gedankenexperiment o, se vogliamo, una sorta di epoché fenomenologica, dove la riflessione può muoversi libera dai rischi della fallacia naturalistica intesa in senso husserliano.
Tutto questo, però, non ha ancora immediata connessione con la dimensione teologico-politica. Sentendo parlare di angelologia politica, lo studioso di storia del pensiero medievale corre con la mente ad un’altra tradizione della teologia medievale: la ricezione degli scritti dello Pseudo-Dionigi Areopagita. Dopo l’Engelstaat di Vallentin[8], dopo Walter Ullmann[9], è stato in particolare David Luscombe ad indagare, in una lunga serie di singoli contributi, l’utilizzo dello Pseudo-Dionigi nelle discussioni politiche bassomedioevali[10]. Molto di recente, poi, volendo indicare l’apporto delle singole “facoltà” al formarsi di categorie di teoria politica nel Medioevo, Miethke ha evidenziato come apporto specifico della “facoltà di teologia” proprio l’uso intensivo del concetto di gerarchia nel senso proposto negli scritti dello Pseudo-Dionigi[11]. Il fascino esercitato da quel modello è stato riconosciuto nello stretto rapporto esistente tra le due opere, il De celesti hierarchia ed il De hierarchia ecclesiastica, costruite entrambe su di un ritmo triadico, anche se, come evidenzia Roques, le corrispondenze tradiscono alcune forzature, che fanno risaltare in modo ancor più evidente l’intento dell’autore[12]. Al sistema di Serafini, Cherubini, Troni, (prima triade), Dominazioni, Virtù, Potestà (seconda triade), Principati, Arcangeli, Angeli (terza triade), corrisponde, nella gerarchia ecclesiastica, uno speculare ritmo ternario, nel quale, a parte la prima triade, costituita dai sacramenti, battesimo, eucaristia, consacrazione, sono presenti due triadi direttamente riferite alla strutturazione della chiesa. La prima, quella iniziatrice, è composta da vescovi, sacerdoti, liturghi, mentre la seconda in cui compaiono tre gruppi, monaci, laici in piena comunione con la Chiesa, penitenti, energumeni e catecumeni, è composta da coloro che devono essere iniziati[13].
In conformità con gli assunti neoplatonici dello Pseudo-Dionigi, è la triade inferiore della gerarchia celeste a costituire la connessione tra l’ordine celeste e quello terreno, e d in particolare sono gli angeli (ma non solo gli angeli in quanto ordine inferiore della triade) a fungere da “mediatori”. La seconda metà del XII secolo segna il definitivo affermarsi di questo “paradigma angelologico” pseudo-dionisiano, a lungo in concorrenza con quello proposto da Gregorio Magno. Ad affascinare autori medievali della Scolastica in via di formazione pare essere stato il gioco di specchi tra i due ordini che svolgono, in modo parallelo ed integrato insieme, il compito di far giungere fino ai livelli più infimi la luce divina e nello stesso tempo ridurre così la molteplicità all’unità. Anche se pure in Gregorio non mancavano parallelismi tra ordine angelico ed ordine ecclesiastico[14], la gerarchia pseudo-dionisiana fornisce la chiave di volta di spiegazione dell’ordine celeste e di quello terreno, ed entrambi vengono pensati sul filo dell’analogia, in un complesso rapporto, in cui i due ordini si rimandano vicendevolmente, come felicemente faceva notare, in un saggio pionieristico, Pierangelo Schiera[15]. Ad uno di protagonisti della fortuna medievale dello Pseudo-Dionigi, Pietro Lombardo, appunto, non risulterà difficile argomentare che un angelo può custodire molte persone, così come un vescovo o un abate possono vedersi affidati molti sottoposti[16]. Nel senso inverso dell’analogia, Ugo di San Vittore, sempre nel XII secolo, commentando proprio la gerarchia celeste, sosterrà che ad ogni popolo è preposto un angelo buono proprio perché Dio non può che ammettere angeli buoni nella sua respublica. Come si nota, Ugo di San Vittore non si riferisce più in senso stretto all’ordinamento ecclesiastico, ma a quello terreno in generale[17].
Passando al XIII secolo, Guglielmo d’Alvernia, uno dei grandi ed influentissimi maestri di quella che chiamiamo “prima Scolastica”[18], costituisce un esempio molto noto, con il suo De Universo, di un tentativo di concepire in modo speculare ordinamento della gerarchia celeste ed ordinamento terreno temporale. Per questo autore, opportunamente utilizzato da Schiera nel noto saggio già ricordato[19], è possibile dire che un ordo contiene una pluralità di ordines, sia per la gerarchia celeste, sia per l’ordo clericorum, sia per l’ordo militum, dove in parallelo ad arcangeli e vescovi compare la nomenclatura della monarchia feudale francese, in via di farsi nazionale: duchi, marchesi, conti, conestabili…[20]. Più o meno negli stessi anni la Summa che va sotto il nome di Alessandro di Hales si chiederà se esistano relazioni di potere tra gli angeli, rispondendo che se esistono angeli più perfetti e meno perfetti, ciò inserisce un principio di eminenza tra di loro, senza però porre in essere un rapporto di subordinazione e sottomissione; tutti sono sottoposti in modo uguale all’unico Dio[21]. Solo un ordine speciale di Dio può creare tra di loro un rapporto secondo il quale l’uno sia tenuto ad obbedire all’altro. Le analogie di questa riflessione con quanto si andava formulando, soprattutto in ambiente francescano, a proposito della nascita del potere tra gli uomini, sono interessanti. Per questi autori, infatti, anche tra gli uomini, prima del Peccato, non si dà potere nel senso di subordinazione coercitiva, pur esistendo differenze naturali che li pongono su diversi piani; la nascita del potere coercitivo non è immediatamente naturale, ma va ricondotta ad altri fattori[22]. Sempre in ambiente francescano, componendo uno speculum principis[23], l’Eruditio regum et principum, dedicato a Luigi IX, Gilberto di Tournai istituisce un’esplicita corrispondenza tra gerarchia celeste, ecclesiastica e temporale[24], dove i principes sono equiparati ai Serafini. Tommaso d’Aquino, nella q. 108 della prima parte della Summa, propone di illustrare l’articolazione di una gerarchia angelica in diversi ordines a partire dall’articolazione presente nella civitas; a seconda delle diverse azioni sono quelli degli iudicantes, dei pugnantes e dei laborantes in agris. Poiché però questa distinzione può non necessariamente risultare trimembre, Tommaso osserva che qualsiasi distinzione in una città si riduce alla divisione triadica in optimates, honorabilis populus e vilis populus[25]. Proprio in un brano in cui polemizza con Tommaso d’Aquino[26], Olivi sostiene che, per cogliere la divisione ternaria, si deve piuttosto guardare ad un regimen rei publice in cui esista un solo rex (solus monarcha), al quale sono immediatamente vicini i figli e la moglie, i consiglieri e le guardie del corpo; alla seconda triade angelica gli universales prefecti, mentre nella terza sono compresi i particulares rectores, responsabili di territori particolari[27].
Questo, per dir così, Ordogedanke pseudo-dionisiano diventa un punto di riferimento dei dibattiti seguenti, sia a livello ecclesiastico, sia a livello di riflessione sui rapporti tra poter temporale e potere spirituale. Così, a partire alla seconda metà del XIII secolo, la durissima lotta tra clero secolare ed ordini mendicanti è combattuta anche -come mostrò magistralmente Congar – sul filo di due diverse interpretazioni dello Pseudo-Dionigi[28]. Da una parte i secolari avrebbero sostenuto con forza l’immutabilità dell’Ordine ecclesiastico, trovando nello Pseudo-Dionigi ulteriore sostegno dal momento che nel suo ordinamento i monaci fanno parte di una triade inferiore a quella di che comprende vescovi e sacerdoti, evidenziando il carattere rivelato di queste gerarchie[29]. Dall’altra, invece, gli ordini mendicanti, tra i cui antesignani già si potevano contare Bonaventura e Tommaso d’Aquino, avrebbero soprattutto evidenziato l’idea dell’unicità del principio da cui tutto proveniva, esaltando, in analogia al summus hierarcha Cristo, il potere del papa su tutta la compagine ecclesiastica[30].
L’accelerazione del dibattito politico provocata dall’azione di Bonifacio VIII e dalla resistenza oppostagli dalla monarchia francese avrebbe portato il Corpus Dyonisianum nel pieno agone della teoria politica; la tesi dello Pseudo-Dionigi, secondo la quale i laici costituiscono uno degli elementi della triade inferiore, sommata alla concezione gerarchica che presiede a tutta la sua opera, forniva valido appoggio all’idea per la quale il potere temporale viene condotto alla sua realizzazione da quello spirituale. Così argomenterà Egidio Romano in difesa di Bonifacio[31], così il principio “infima per media ad suprema reduci”, esplicitamente tratto dal beato Dionigi, sarà incastonato nella bolla Unam Sanctam[32]; così, qualche anno più tardi, Francesco di Meyronnes scriverà della subordinazione del summus monarcha (l’imperatore) al summus hierarcha (il papa)[33].
Dall’altra parte, Giovanni di Parigi[34] o gli autori francescani attorno a Ludovico di Baviera (cfr. p. es. le Allegationes de potestate imperiali del 1334), tenteranno di spezzare la forza dell’argomentazione basata su Dionigi, o semplicemente negando che le l’amministrazione temporale faccia parte del processo di riduzione all’unità divina, oppure argomentando che subordinazione nella gerarchia non significa dipendenza quanto all’essere, in quanto gli angeli inferiori, vengono sì illuminati dai superiori, ma non dipendono per il loro essere da loro, bensì direttamente da Dio. E questo vale anche per il potere temporale[35].
Già nel XV secolo, Giovanni Gerson sosterrà, in difesa della sua interpretazione del Conciliarismo, che la gerarchia della chiesa, rispecchiando quella divina è immutabile che quindi la pluralità degli ordini deve comunque essere mantenuta, anche se gli individui devono e possono essere sostituiti; il sommo gerarca, tuttavia, non è il papa, ma Cristo[36].
In questi miei rimandi volutamente cursori, che si estendono dal XII agli inizi del XV secolo, a dispetto di una indiscutibile incombenza della gerarchia celeste su quella terrena, non ho ancora potuto parlare di angeli delle nazioni. In questi contesti, infatti, l’idea della gerarchia sembra quasi imbrigliare la dinamicità potenziale insita nell’immagine degli angeli delle nazioni, che pure non era ignota, anzi, agli autori medievali. Oltre al brano dello Pseudo-Dionigi sul quale torneremo, non va trascurato che un testo assai influente come il De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno, reso accessibile all’Occidente latino dalla versione di Burgundione da Pisa, prevedeva che agli angeli fossero assegnate “parti della terra e genti”[37].
Mi sono provato, come per un test case destinato a questo breve contributo, a scorrere diverse prese di posizione a proposito di quel passaggio del IX capitolo dello Pseudo-Dionigi dove si suggerisce una corrispondenza tra nazioni ed angeli[38]. Risulta abbastanza evidente che per gli autori che ho potuto consultare l’idea dominante è ancora una volta quella del rispecchiamento, un teologo medievale si può chiedere se questo affidamento generi effettivamente una corrispondenza ad uno ad uno, e come possa un ordine immutabile corrispondere alla mutevolezza del contingente. Questi sono, per esempio, i problemi che si pone un Alberto Magno, per il quale è quasi scontato il collegamento con la questione degli angeli custodi e, di conseguenza, in questa sezione del commento trova rilevante chiedersi se anche l’Anticristo abbia un angelo custode. La sua risposta è positiva, perché va rispettato il principio secondo il quale ogni uomo, per quanto malvagio possa essere, ha un suo angelo ed anche nel caso dell’Anticristo l’angelo custode può moderare il male che questi fa a sé stesso ed agli altri[39].
In verità, esiste un contesto molto limitato in cui gli angeli delle nazioni svolgono un ruolo nei testi che mi sono più familiari, anche se si tratta di un ruolo marginale. Lo stesso dettato dello Pseudo-Dionigi suggeriva il collegamento alle visioni di Daniele, ed alla questione degli angeli che agiscono a protezione delle nazioni[40]. Anche se non necessariamente nei Commenti allo Pseudo-Dionigi, ma in particolare nelle grandi Somme teologiche della prima metà del XIII secolo, in corrispondenza più o meno diretta con la distinctio 11 del secondo Libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, dove tra l’altro si affronta la questione della custodia degli angeli nei confronti degli uomini, il problema sollevato dal brano scritturistico di Daniele che lascia intendere l’esistenza di una “lotta” tra l’angelo dei Persiani e quello degli Ebrei[41].
Il contrasto tra due angeli, sommandosi con il prevalere dell’esegesi di Gregorio Magno (che entrerà a pieno titolo nella Glossa di Nicolò da Lira), secondo il quale i due angeli sono buoni, rispetto a quella di Girolamo (che vedeva nell’angelo dei Persiani un angelo malvagio) procura le difficoltà più grandi agli autori scolastici[42]. Guglielmo d’Alvernia, nel già ricordato De universo, tenta di ricostruire come avvenga un contrasto tra gli angeli, utilizzando un termine pregnante di connotazioni universitarie, di disceptatio.[43] Gli angeli buoni ci difendono contro le sventure e le potenze del male anche contro altri angeli buoni (s’intende, contro quelli deputati ad altre custodie). Di conseguenza, il princeps Persarum, temendo per il proprio regno, allegava (così come fanno nelle dispute i maestri universitari) contro la liberazione del popolo d’Israele[44]. Solo quando i peccati di un popolo diventano insopportabili, i suoi angeli (o il suo angelo) lo abbandonano, come si narra sia accaduto ai tempi dell’assedio di Gerusalemme da parte dei Romani[45]. Nel medesimo torno di anni, un maestro così influente come Guglielmo di Auxerre tenta di spiegare questo contrasto, ponendolo in termini puramente conoscitivi; la resistenza altro non sarebbe che il fatto che il Princeps Persarum, angelo appartenente ad una gerarchia superiore rispetto a quello che parla a Daniele, rivela a questi la sua volontà (che quello ignorava in quanto inferiore) avversa a quella divina, prima di conformarvisi, come è ovvio[46]. Guglielmo conosce anche un’altra soluzione attribuita a Prepositino di Cremona, che però rifiuta, secondo la quale gli angeli vogliono solo in modo condizionato ciò che non sanno se sia conforme nella volontà di Dio[47]. Negli stessi anni, Filippo il Cancelliere preferisce optare per l’esegesi di Gerolamo, e considera il princeps Persarum come un angelo malvagio[48]. Per Alessandro di Hales, nella sua Glossa, invece, gli angeli preposti alle nazioni sono buoni e la possibilità del sorgere di un dissenso tra angeli protettori delle nazioni è dovuta al fatto che i meriti dei popoli custoditi possono essere oggetto di contraddizione, ma pur sempre nella conformità alla volontà divina[49]. Nella Summa Halensis, lavoro collettivo in cui lo stesso Alessandro di Hales, divenuto frate francescano svolse un ruolo molto significativo, pur attingendo a Filippo il Cancelliere, si giustappongono entrambe le esegesi, quella di Girolamo e quella di Gregorio, e le due interpretazioni di resistentia che ne derivano, senza risolvere il dilemma[50].
Sullo sfondo di queste le discussioni si comprendono ancora meglio i brani di Tommaso d’Aquino, sui quali ha gentilmente richiamato la mia attenzione Michele Nicoletti[51]. In effetti, Tommaso affronta il problema della possibile discordia tra gli angeli all’inizio della sua carriera, commentando quella 11 distinctio del II libro delle Sentenze in cui Pietro Lombardo aveva inserito una parte dei problemi angelologici[52]. Ritorna poi sulla questione più avanti, con la Summa, fornendo anch’egli una interpretazione di come siano mediabili le divergenze tra gli angeli. Per il giovane Tommaso la pugna tra gli angeli altro non è che una relatio contrariorum meritorum[53], ed un diverso soppesare meriti e colpe delle singole genti; per il Tommaso maturo si tratta di una consultazione della volontà divina[54]. Tutto ciò è reso possibile dal fatto che gli angeli non sono onniscienti e non possono sapere, senza esserne informati, come Dio deciderebbe, hanno, per così dire, le loro “zone grigie”.
Il problema suscitato da Daniele nei teologi che abbiamo appena ricordato è come ricomporre la diversità delle genti e dei loro angeli in un ordo, in un’armonia che non può non regnare nella respublica divina, almeno come la concepiscono i ragionevoli teologi parigini; con una distinzione tra opinione, volontà ed azione degli angeli tentano di ricomporre le possibilità di tensioni. La storia è quindi riducibile al pacato confrontarsi di angeli che, al cospetto di Dio, e concordi nell’intento di realizzarne comunque la volontà, soppesano insieme meriti e demeriti dei popoli.
Il trattato di Egidio Romano Contra exemptos, composto nei drammatici anni del Processo ai Templari, portato a termine con tutta verosimiglianza prima che Clemente V ne decretasse lo scioglimento nel maggio 1312[55], può costituire un significativo esempio di come le questioni angelologiche potessero assumere una valenza per uno scontro ecclesiologico-politico in corso. Non è questa la sede per ripercorrere il percorso teorico-politico di un autore noto e complesso[56]. Basti ricordare che Egidio Romano, arcivescovo di Bourges, si schiera – in perfetta consonanza con le posizioni della corona francese, mentre il pontefice sembra ancora alla ricerca di una propria strategia – contro i Templari, inserendo tuttavia il problema costituito dalle accuse mosse nei loro confronti nel più ampio problema dell’esenzione di alcuni ordini ecclesiastici. Egidio fa risalire al privilegio templare di essere direttamente soggetti al pontefice, e di non dover quindi render conto ad altre istanze di controllo locali quali i vescovi, il fatto che l’Ordine fosse caduto negli errori idolatrici e nelle pratiche immorali di cui veniva accusato. Così facendo, ovviamente, attacca anche altri ordini che godevano del medesimo status canonico. Quanto è rilevante al nostro scopo, è che una parte molto significativa dell’argomentazione è condotta con l’ausilio dello Pseudo-Dionigi. Senza entrare nel dettaglio delle singole rationes, si può, in modo riassuntivo dire che Egidio, partendo dall’assunto del rispecchiamento tra ordine celeste ed ordine ecclesiastico, valorizza il principio secondo il quale Dio influisce sul mondo attraverso le gerarchie angeliche, e quindi attraverso un sistema di mediazioni progressive; d’altra parte, la riduzione della molteplicità all’unità divina avviene, in senso inverso, attraverso le medesime mediazioni. Se applicato alla Chiesa, questo principio contrasta in modo palese con l’istituto dell’esenzione, che invece annulla il ruolo delle mediazioni[57]. Egidio è attento poi a specificare che l’onnipotenza di Dio può governare il mondo anche senza la mediazione angelica, cosa che non si può dire del pontefice romano, il quale non è in grado di esercitare quel controllo efficace che già riesce difficile agli “ordinari diocesani”[58]. A questa conclusione, di cui risultano evidenti sia il giudizio politico, sia la vena polemica nei confronti di Clemente V (si noti comunque che Egidio non nega che il papa abbia il potere di esimere[59], ma l’opportunità dell’istituto e la possibilità pratica di esercitare i controlli), il dottore agostiniano aveva premesso una circostanziata esposizione delle sue concezioni sulle gerarchie angeliche, offrendo anche un’esposizione di corrispondenze analogiche con il mondo umano. Per Egidio, la distinzione tra i diversi livelli angelici, che si illuminano dall’alto verso il basso può essere paragonata ai rapporti esistenti tra il magister di teologia che tiene la cattedra, che illumina i baccellieri; questi a loro volta illuminano i lectores (docenti di teologia di solito attivi nelle scuole dei conventi degli Ordini mendicanti); dai lectores la luce della scienza di irradia sui predicatori, e da questi ultimi infine sul popolo[60]. Oltre a questo parallelo dal sapore accademico, l’ex-maestro di teologia propone quello con gli ordinamenti secolari: il re sceglie nomina dei secretarii, che sono a conoscenza dei segreti del regno e costituiscono il primo livello della gerarchia; da loro le informazioni vengano passate ai magistri ed ai giudici della corte regia, che costituiscono il secondo livello; il terzo livello, infine, è costituito da ballivi e funzionari locali, che applicano che direttive della curia regis in zone specifiche del regnum[61]. Il parallelo con il mondo ecclesiastico serve infine ad Egidio per affrontare la questione della pugna angelorum, tema che, a quanto pare, non era facile da eludere in discussioni angelologiche. Egidio aveva ricordato l’esistenza di angeli, identificati da parte sua nei Principati, preposti a singole zone della terra: il Princeps Persarum si occupa ovviamente della Persia, mentre Michele del popolo ebraico[62]. Lo scontro tra di loro del quale si narra in Daniele è uno scontro tra angeli buoni, che vogliono il bene del popolo loro soggetto, fino a che non viene emesso il giudizio divino. Come si vede, Egidio non avverte qui la necessità di trasporre sul piano dialettico un conflitto di volontà, come aveva proposto Tommaso d’Aquino, anche se deve comunque presumere che gli angeli, fino ad un determinato momento, siano all’oscuro della decisione di Dio. Il contrasto si acquieterà quando si manifesta la volontà superiore; prima, si ha uno scontro tra due volontà ugualmente buone, come può accedere in un capitolo cattedrale, o in un medesimo cenobio La differenza tra angeli e uomini sta che ai primi viene poi comunque rivelato il giudizio di Dio, mentre gli uomini possono rimanere all’oscuro, e continuare quindi indefinitamente nel conflitto tra volontà in sé buone[63].
In verità, accanto a questi angeli delle nazioni che sono angeli della storia in un senso cui prevale l’ordo, è ben noto che i medesimi autori conoscevano altri angeli, quelli dell’Apocalisse. Senza dubbio, le identificazioni degli angeli apocalittici con specifiche figure storiche è uno degli aspetti più noti della speculazione medievale[64], ma non immediatamente pertinente alla presente trattazione. Nelle Collationes in Hexaemeron, secondo Bonaventura, l’angelo di Apocalisse 7, 2, ferma i prìncipi malvagi che vorrebbero distruggere la Chiesa[65]. Ma, soprattutto, l’angelo del sesto sigillo si manifesta nella sesta età della Chiesa, un’età segnata dalla contraddizione, dall’avvento dell’Anticristo ma anche da un nuovo ordine religioso simile in tutto a Cristo di cui lo stesso angelo è a capo. Si manifesta nella sesta età, nel momento insieme più drammatico e cupo della storia della Chiesa e dell’umanità, porta in sé i segni di quella sofferenza, ma anche l’annuncio della settima età di pace e di trionfo sul male che chiuderà la vicenda di questo mondo[66].
Pietro di Giovanni Olivi, ancora giovane frate, aveva ascoltato Bonaventura a Parigi e ricordava di averlo sentito identificare l’angelo di Apocalisse 7 con Francesco d’Assisi[67]. È molto significativo, credo, poter confrontare che cosa un notevole pensatore come l’Olivi, il quale ha scritto molto anche sulla gnoseologia angelica, abbia da dire degli angeli delle nazioni e vedere quanto limitate siano, in questo contesto, le sue osservazioni. Grazie alla squisita gentilezza di Sylvain Piron, che sta curando l’edizione del Commento di Olivi alla Gerarchia celeste, si può constatare che in questa opera Olivi si limita ad accettare l’idea che esistano angeli (buoni) ai quali sono affidate le gentes, così come Israele è affidato a Michele, e che agiscono secondo le proprie forze secondo il volere divino[68]. Solo a lato, ed in un contesto a proposito del quale Olivi ammette i limiti delle sue conoscenze fa capolino un’osservazione che contiene una implicazione politica: un angelo, anche il più infimo, ha più potere nel reggere un popolo o una gente, di quanto non lo abbiano il papa sulla chiesa o un re sul suo regno[69]. Troppo lungo sarebbe invece esporre i temi che si affollano alla penna di Olivi quando giunge, in una delle sue ultime opere, a commentare l’ Apocalisse; è l’angelo del sesto sigillo è colui che rinnova la vita evangelica, che sale da Roma e, segnato con il sigillo dei dio vivente frena gli angeli che devono devastare la terra e il mare, è l’angelo il cui annuncio viene impugnato dai malvagi e dai tiepidi, selezionando gli uomini spirituali che resisteranno al giorno della tentazione estrema …[70]. In breve, è questo l’angelo che annuncia, ed insieme anticipa, il compimento della storia della Salvezza. In lui la storia è come racchiusa nelle sue ultime potenzialità, prima dell’inizio dell’età nuova. Questo angelo non è, però, l’angelo di una nazione.
Angeli delle nazioni/angeli della storia. Non intendo qui affermare che questa contrapposizione sia una chiave di lettura sufficiente a cogliere la complessità dell’angelologia politica dei secoli del medioevo cui di solito rivolgo la ma attenzione; troppo limitata la mia competenza, ma anche troppo limitato il sondaggio che per ora ho potuto compiere. Tuttavia, mi pare non si possa negare questo iato tra le vicende dei singoli popoli, per quanto sottoposte alla divina provvidenza attraverso la cura solerte dei suoi angeli, ed il ritmo universalistico della Storia della salvezza e della dannazione, che coinvolge l’umanità intera; come ripete anche Niccolò da Lira, nella sua monumentale Glossa alla Scrittura, Michele, che era l’angelo deputato agli Ebrei, con la Redenzione è divenuto l’angelo della Chiesa[71].
* Questo contributo deve essere considerato un’“incursione” in un territorio ancora per me insondato, il che spiega il suo carattere provvisorio, come anche la natura molto limitata dei rimandi contenuti in nota. Molti studi, che avrebbero potuto completare il panorama, non mi sono stati disponibili: ricordo solo A. Schenker, Le Dieu unique, les dieux et les anges, in Le retour des anges, ed. B. Hallensleben, Paris 1998, pp. 9-20. Sarà soprattutto merito di M. Nicoletti e di O. Brino se sarà di una qualche utilità questo lavoro, che dedico ad uno Schutzengel molto particolare, Roberta Bergamaschi.
[1] B. Faes de Mottoni, San Bonaventura e la Scala di Giacobbe. Letture di angelologia, Bibliopolis, Napoli, 1995.
[2] Cfr, p. es. A. Tabarroni, Mental Signs and the Theory of Representation in Ockham, in On the medieval Theory of Signs, edd. U. Eco – C. Marmo, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins 1989, pp. 195-224.
[3] C. Marmo, Gregorio da Rimini: segni, linguaggio e conoscenza. Il pensiero umano tra cani dialettici e angeli introversi, in Gregorio da Rimini. Filosofo, (Atti del convegno – Rimini, 25 novembre 2000), Rimini, Raffaelli 2003, pp. 127-153.
[4] T. Suarez-Nani, Les anges et la philosophie, Paris, Vrin 2002. Colgo l’occasione di ringraziare l’autrice delle preziose indicazioni.
[5] T. Suarez-Nani, Connaissance et langage des anges selon Thomas d’Aquin et Gilles de Rome, Paris, Vrin 2003; Ead., Pierre de Jean Olivi et la subjectivité angélique, in «Archives d’historie doctrinale et littéraire du moyen âge», 70 (2003), pp. 233-316.
[6] Cfr. S. Piron, Petri Iohannis Olivi quaestio de locutionibus angelorum, in «Oliviana», 1 (2003). (URL= www.oliviana.org).
[7] Per una descrizione generale di queste tematiche, D. Keck, Angels and Angelology in the Middle Ages, New York – Oxford, Oxford University Press 1998, in part. pp. 71 e ss.
[8] Il testo, sempre citato, a che se non sempre correttamente, dagli esperti non mi è stato disponibile per questa ricerca. L’indicazione più precisa, rispetto a quella riportata nel lavoro di P. Schiera, è comunque la seguente: B. Vallentin, Der Engelstaat. Zur mittelalterlichen Anschauung vom Staate (bis auf Thomas von Aquino), in Grundrisse und Bausteine zum Staats-und Geschichtslehre, zusammengetragen zu Ehren Gustav Schmollers, Berlin, Bondi 1908, pp. 41-120.
[9] Si veda per esempio W. Ullmann, Law and Politics in the Middle Ages, Sources for History Limited, Bristol 1975, pp. 230 274-275, 281
[10] Si vadano, a titolo d’esempio, D. Luscombe, Thomas Aquinas and Conceptions of Hierarchy in the Thirteenth Century, in Thomas von Aquin. Werk und Wirkung im Licht neuer Forschung, ed. A. Zimmermann (Miscellanea Mediaevalia, 19), Berlin, De Gruyter 1988, pp. 261-277; Id., Hierarchy in the Late Middle Ages: Criticism and Change, in Political Thought and the Realities of Power, edd. J. Canning – O. G. Oexle, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1998, pp. 113-126.
[11] J. Miethke, Ai confini del potere. Il dibattito sulla potestas papale da Tommaso d’Aquino a Guglielmo d’Ockham, Padova, Editrici Francescane 2005, pp. 11-13 (tit. or. De potestate papae, Die päpstliche Amtskompetenz im Widerstreit der politischen Theorie von Thomas von Aquin bis Wilhelm von Ockham, Tübingen, Mohr Siebeck 2000).
[12] R. Roques, L’universo dionisiano. Struttura gerarchica del mondo secondo ps. Dionigi Areopagita. Pres. di C. Moreschini, (tit. or. L’Univers dionysien. Structure hiérarchique du monde selon de Pseudo-Denys Paris, Du Cerf, 1969), Milano, Vita e Pensiero, 1996, pp. 180 -2. Una panoramica complessiva, e di conseguenza non mirata all’approfondimento, in R. Lavatori, Gli angeli. Storia e pensiero, Genova, Marietti 1991.
[13] Per una descrizione sintetica ed efficace, cfr. Rocques, L’universo dionisiano cit., pp. 125-182.
[14] C. Micaelli, L’angelologia di Gregorio Magno tra oriente ed occidente, in «Koinonia» 16 (1992), pp. 35-51; ma anche C. Carozzi, Hiérarchie angélique et tripartition fonctionelle chez Grégoire le Grand, in Hiérarchies et services au Moyen Age, Séminaire sociétés, Idéologies et Croyances au Moyen Age. Dir. C. Carozzi – H. Taviani-Carozzi, Aix-en-Provence, Publications de l’Université de Provence 2001, pp. 31-51.
[15] P. Schiera, Ordines e status nell’angelologia medievale, in L’angelo dell’immaginazione, a cura di F. Rosa, Trento, Dip. di Scienze Filologiche e Storiche 1992, pp. 159-174.
[16] Pietro Lombardo, Sententiae in IV libris distinctae, II, dist. XI, c. 2, edd. PP. Editores di Quaracchi, Grottaferrata (Romae), Editiones Coll. S. Bonaventurae 1971, p. 381: «Nec est miranudm unum angelum pluribus hominibus ad custodiam deputari, cum uni homini plurium custodia deputetur, ita ut eorum quisque suum habere dominum vel episcopum vel abbatem».
[17] Ugo di San Vittore, Expositio in hierarchiam coelestem S. Dionysii, l. IX, Patrologia Latina 175, coll. 1093-4: «Probabile enim est omnino quod bonus Dominus in republica sua bonos sub se ministros constituerit».
[18] Rimando al volume miscellaneo su Guillaume d’Auvergne che apparirà a breve: Guillaume d’Auvergne (+1249), Université de Genève. Départment d’histoire générale. Départment des langues et des littératures françaises et latines médiévales, 17-19 mai 2001, Turnhout, Brepols 2005; in particolare, ricordo il saggio di F. Santi, Retorica, teologia e magia in Guglielmo d’Alvernia, che ho potuto leggere in anteprima grazie alla gentilezza dell’autore.
[19] Schiera, Ordines e status cit., pp. 169-172.
[20] Guglielmo di Alvernia, De Universo, II, II, c. 141, Paris 1674 (rist. anast. Frankfurt a/M 1963), p. 991a: «sic et ordo militum ordo unus dicitur usualiter, in quo tamen multi ordines sunt, vdelicet centurionum, decurionum, queternionum et iterum Ducum, Marchionum, Comitum, Constabilionum. Tolerabile igitur est, et praeter abusum, quod iste sanctus, et sapiens dixit, quia Hierarchia est divinus Ordo, licet multos ordines contineat ».
[21] Summa Halensis, I, II pars, inq. II, tr. III, sect. II, q. III, tit I., cap. I, art.1, Ad Claras Aquas (Quaracchi) prope Florentiam, Collegium S. Bonaventurae 1928, pp. 252-253 «Responsio videtur ad hoc quod praelatio dicitur dupliciter: praeeminentia in donis gratuitis vel naturalibus, et secundum hoc fuit praelatio a principio in angelis: unde Gregorius: Tantum primum angelum reliquis angelis eminentiorem fecit. Dicitur iterum praelatio praeeminentia ad imperandum iure, et secundum hunc modum non credo quod praelatio esset a principio in angelis, sed omnes suberant Deo tantum ad imperium».
[22] Su questi temi, rimando ad A. Tabarroni, Francescanesimo e riflessione politica sino ad Ockham, in Etica e Politica: le teorie dei frati mendicanti nel Due e Trecento, Atti del XXVI Convegno internazionale, Assisi, 15-17 ottobre 1998, Spoleto 1999, pp. 205-230, e R. Lambertini, Poverty and Power: Franciscans in Later Mediaeval Political Thought, in Moral Philosophy on the Threshold of Modernity, edd. J. Kraye – R. Saarinen, Dordrecht, Springer, 2005, pp. 141-163.
[23] Sulla nozione di speculum principis mi limito a rinviare allo studio di D. Quaglioni, Il Modello del principe cristiano, Gli “specula principum” fra medioevo e prima Età Moderna, in Modelli nella storia del pensiero politico, I, a cura di V. I. Comparato, Firenze, Olschki 1987, pp. 103-122.
[24] Gilberto di Tournai, Eruditio regum et principum, III, 2, ed. A. De Poorter, Louvain, Institut sup. de Philosophie de l’Université 1914, p. 84: «Et quoniam inferiora reducuntur in superiora per media, constituti sunt principes et praelati, ut per eorum ministerium reducantur in Deum angelico more subjecti…Unde et principes facit esse subjectorum per providentiae protectionem, et subjectos facit esse superiorum per amoris ad eos conversionem et in Deum reductionem».
[25] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 108, art. 2, cura et studio P. Caramello, Taurini-Romae, Marietti 1948, p. 509: «Sed quamvis multi sint unius civitatis ordines, omnes tamen ad tres possunt reduci, secundum quod quaelibet multitudo perfecta habet principium, medium et finem; quidam autem sunt supremi ut optimates, quidam autem sunt infimi, ut vilis populus, quidam autem sunt medii, ut populus honorabilis».
[26] Pietro di Giovanni Olivi, In Dyonisii Ierarchiam Celestem, c. VI: «Secundum vero, scilicet de divisione ordinum secundum diversitatem officiorum et actuum reductam ad tres gradus, scilicet suppremorum, mediorum et infimorum, quadruplici racione non placet». Queste parole sono rivolte alla soluzione di Tommaso che Olivi ha citato in precedenza alla lettera. Devo alla usuale squisita generosità di Sylvain Piron di aver potuto leggere il testo nella sua trascrizione, che qui riporto, dove già era individuata la fonte di Olivi.
[27]Pietro di Giovanni Olivi, In Dyonisii Hierarchiam Celestem, l. VI: «Consimiliter autem possumus hoc uidere prout refulgent in communi regimine rei publice, in quo quidem rex est solus monarcha, et post eum sunt uxor et filii miro amore cum eo immediate connexi, et post hoc assistentes consiliarii, et tercio immediati custodes corporis sui. Et hii tres sunt ad interiora. Et primi quidem vacant amori, secundi autem scienciali consultacioni seu visioni, tertii vero famulative baiulacioni. Post hoc autem perficiuntur a rege uniuersales perfecti, in quibus debet refulgere inperiositas et strenuitas seu virilitas et sobria et ordinata seu ordinativa potestas. Post hec autem secuntur particulares rectores qui diriguntur ad varias terras, quorum patet distinccio per supradicta. »
[28] Y. M.-J. Congar, Aspects ecclésiologiques de la querelle entre mendiants et séculiers dans la seconde moitié du XIIIe siècle et le début du XIVe, in «Archives d’histoire littéraire et doctrinale du Moyen Age», 36 (1961), pp. 35-151.
[29] Congar, Aspects ecclésiologiques cit., in part. pp. 120-122.
[30] Congar, Aspects ecclésiologiques cit., in part. pp. 132-136.
[31] Egidio Romano, De ecclesiastica potestate, I, 4, ed. R. Scholz, Weimar, Böhlau 1929, p. 12: «Nam secundum Dionysium in Angelica Ierarchia lex divinitatis est infima in suprema per media reducere. Hoc ergo requirit ordo universi, ut infima in suprema reducantur».
[32] D. Luscombe, The Lex divinitatis in the Bull Unam Sanctam of Pope Boniface VIII, in Church and Govenrment in the Middle Ages: Essays Presented to C. R. Cheney, ed. C. Brooke et al., Cambridge Government, Cambridge University Press 1976, pp. 205-221.
[33] Su Francesco di Meyronnes si possono vedere le brevi pagine di D. Luscombe, François de Meyronnes and Hierarchy, in The Church and Sovereignty, 590-1918. Essays in Honour of Michael Wilks, ed. D. Wood et al., Oxford, Blackwell 1991, pp. 225-231, che rimandano anche alla bibliografia precedente.
[34] Giovanni di Parigi, De potestate regia et papali, XVIII, ed. F. Bleienstein, Klett, Stuttgart 1969, pp. 164-166, in part.: «… clarum est ex ista ordinatione ecclesiasticae hierarchiae summus pontifex, ut hierarcha est, non habebit nisi potestatem spiritualem, licet generaliorem quia ubique potentem».
[35] Si veda lo studio di D. Luscombe, William of Ockham and the Michaelists on Robert Grosseteste and Denis the Aeropagite, in The Medieval Church: Universities, Heresy, and the Religious Life. Essays in Honour of Gordon Leff, edd. P. Biller – B. Dobson. London – Woodbridge, For The Ecclesiastical History Society by the Boydell Press 1999, pp. 93-109.
[36] D. Luscombe, John Gerson and Hierarchy, in Church and Chronicle in the Middle Ages. Essays Presented to John Taylor, edd. By I. Wood – G. A. Loud, London –Rio Grande, The Hambledon Press, 1991, pp. 193-200.
[37] Iohannes Damascenus, De fide orthodoxa, Burgundionis versio, c. 17, ed. E. M. Buytaert, St. Bonaventure N. Y, Louvain – Paderborn, 1955, p. 72 : « … custodientes partes terrae, et gentibus et locis praesistentes, sicut a conditore ordinati sunt ». Faccio riferimento al testo latino che gli autori medievali della Scolastica avevano a disposizione.
[38] Si può rimandare, quale edizione più facilmente accessibile, a Denys l’Aréopagite, La hiérarchie cèleste, IX, 2, intr. R. Roques, ed. G. Heil, trad. M. de Gandillac, Paris, Cerf 19702 (Sources Chrétiennes 58bis), pp. 131-132. Ovviamente, gli autori medievali cui faccio riferimento utilizzavano traduzioni latine. Su questo punto, si veda H.-F. Dondaine, Le corpus Dionysien de l’Université de Paris au XIIIe siècle, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1953; B. Faes de Mottoni, Il Corpus Dionysianum nel Medioevo. Rassegna di studi: 1900-1972, Bologna, Il Mulino 1977. Uno strumento fondamentale resta P. Chevallier, Dyonisiaca, I-II, s.l., Desclée de Bouwer et Cie 1937 e 1950, che offre in una sorta di sinossi tutte le traduzioni latine; per quanto attiene al nostro tema, il brano che i nostri autori possono avere avuto (nella versione più diffusa, quella di Giovanni Saraceno)a disposizione si legge nel vol. II, pp. 902-3: « Inde theologia nostram hierarchiam angelis attribuit, principem Judaici populi Michaelem nominans, et alios gentium aliarum; statuit enim Altissimus terminos gentium iuxta numerum angelorum Dei ».
[39] Alberto Magno, Super Dyonisium de caelesti hierarchia, edd. P. Simon – W. Kübel, Münster, Aschendorff 1993 (Opera Omnia 36/1), pp. 146-7; per l’Anticristo, p. 155.
[40] Si veda il testo citato sopra, alla n. 38.
[41] Dan. 10, 13, in: Biblia iuxta vulgatam versionem, edd. R. Weber, R. Gryson et alii, Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft 19944, p. 1364: «princeps autem regni Persarum restitit mihi viginti et uno diebus».
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[42] Accenno anche in Keck, Angels and Angelology cit., 38-39, 62-63
[43] Guglielmo d’Alvernia, De universo, II, 2, c. 157, Venezia 1591, p. 1008: «Et de hac defensione, manifestum est, quod facta non fuit disceptatione, quae esset viribus, seu per vires: hic enim modus disceptandi, videlicet, qui viribus exercetur, ut ait quidam Philosophus, magis beluinus est, quam humanus; quanto minus igitur decet sanctissimos, ac beatissimos angelos, et hoc contra se invicem»
[44] Ibid., «contra semetipsos ipsi boni angeli praestant nobis defensionem, sicut apud eundem Prophetam legitur de principe Persarum qui resistebat alii Archangelo satagenti pro liberatione populi Hebraeorum: ille vero, videlicet princeps Persarum, econtrario allegabat pro regno suo, scilicet regno Persarum…»
[45] Ibid., c. 160, pp. 1010-1011: «Respondeo in hoc, quia tanta est in quibusdam nationibus horribilitas et abominabilitas ac faetulentia vitiorum, et peccatorum, ut ipsi angeli sancti cohabitationem eorum abominantur et horreant, nec mirum, cum ipse creator benedictus de gente Hebraeorum dixit Coinquinabor… Et adjuvatur iste sermo meus ex eo, quod accidit in civitate famosissima Hierusalem imminente excidio eiusdem, quod factum est per Imperatores Romanos, audita namque fuit ibi vox sanctorum angelorum dicentium: Transeamus ex his sedibus. Quo sermone evidenter ostenderunt sedes illas indignas fuisse contubernio, seu habitatione illorum».
[46] Guglielmo di Auxerre, Summa Aurea, II, tract. V, cap. VIII, ed. J. Riballier, Paris – Grottaferrata (Roma), CNRS – Editiones Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas 1982, pp. 119: «Nichil aliud fuit illa resistentia, nisi quod angelus Persarum revelavit angelo Danielis, cum esset eo superior et aliquid esset ei revelatum quod non illi, revelavit, inquam, ei ipsum velle contrarium quod deus volebat, et ille acquievit, et voluntatem suam voluntati divine supposuit. Ad aliud dicendum quod hoc volebat angelus Persarum, scilicet Iudeos nondum liberari, ut satiaretur et cessaret odium Persarum respectu Iudeaorum qui eos persecuti fuerunt aliquando, et fortassis ipse erat archangelus, et ei revelaverat Iudeos non plene purgatos, quod tamen non revelaverat angelo Danielis, qui erat de simplicibus angelis».
[47] Ibid.: «Solvunt quidam quod angelus non vult simpliciter illud quod dubitat Deum velle, sed vult sub conditione, scilicet si Deus velit».
[48] Filippo il Cancelliere, Summa de bono, pars 000, q. VII, ed. N. Wicki, I, Bernae, Francke 1985, pp. 456-7.
[49] Alessandro di Hales, Glossa in quatuor libros Sententiarum Petri Lombardi, II, d. XI, edd. Patres Collegii S. Bonaventurae, Quaracchi, Florentiae, Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1952, p. 112: «Dicendum sicut Gregorius, quod hoc non dicitur quoniam ipsi in se dissideant, sed quoniam merita gentium quibus praesunt dissident».
[50] Summa Halensis, I, II, inq. II, tract. III, sect. II, quaest. II, tit. II, art. 3, ed.cit., pp. 277-278.
[51] Si vedano anche le indicazioni M. Nicoletti, La politica ed il male, Brescia, Morcelliana 2000, in part. pp. 237-238.
[52] Pietro Lombardo, Sententiae in IV libris distinctae, II, cit., altri problemi di angelologia sono discussi nelle distinzioni immediatamente contigue.
[53] Tommaso d’Aquino, In libros Sententiarum, II, dist. 11, quaest. 2, a. 5, Utrum inter angelos possit esse pugna, ed. P. Mandonnet. II, Parisiis, 1929, pp. 291-293, in part. p. 293: «Et quia unusquisque angelus secundum officium suum, ad examen divinae scientiae referebat merita sibi subditorum, ideo relatio contrariorum meritorum per diversos angelos facta, sententiam divinam expectantes, pugna inter angelos vocatur; et eorum concordia est in divinae illuminationis perceptione, per quam de divina voluntate instruuntur».
[54] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 113, a. 8, Utrum inter angelos possit esse pugna seu discordia, ed. cura et studio P. Caramello, Marietti, Taurini-Romae, 1948, p. 534: «Ad videndum igitur qualiter unus angelus alteri resistere dicitur, considerandum est quod divina iudicia circa diversa regna et diversos homines, per angelos exercentur. In suis autem actionibus angeli secundum divinam sententiam regulantur. Contingit autem quandoque quod in diversis regnis, vel in diversisis hominibus, contraria merita vel demerita inveniuntur, ut unus alteri subdatur aut praesit. Quid autem super hoc ordo divinae sapientiae habeat, cognoscere non possunt nisi Deo revelante. Unde necesse habent super his sapientiam Dei consulere. Sic igitur inquantum de contrariis meritis et sibi repugnantibus, divinam consulunt voluntatem, resistere sibi invicem dicuntur; non quia sint eorum contrariae voluntates, cum in hoc omnes concordent, quod Dei sententia impleatur; sed quia ea de quibus consulunt, sunt repugnantia. Et per hoc patet solutio ad obiecta».
[55] Sull’amplissima letteratura disponibile a questo proposito mi limito a ricordare: A. Demurger, Vita e morte dell’Ordine dei Templari, Milano, Garzanti 1999 (tra. it. di Vie e mort de l’ordre du Temple, Paris, Seuil 1985); B. Frale, I Templari, Bologna, Il Mulino, 2004, con valida nota bibliografica.
[56] Si veda quanto ne dice Miethke, Ai confini del potere cit., pp. 104-112 con relative indicazioni bibliografiche; sul personaggio in generale mi permetto di rinviare al mio Giles of Rome, nella enciclopedia on-line Stanford Enciclopedia of Philosophy. (URL= http://plato.stanford.edu).
[57] Egidio Romano, Contra exemptos, in Aegidius Romanus, Opuscula, I, Romae 1555 (anast. Frankfurt a/M., Minerva, 1968), f. 15v: «Si ergo comparamus deum regentem mundum per angelos suos ad summum Pontificem suum vicarium regentem Ecclesiam per personas ecclesiasticas, dicemus quod vicarius debet inquantum potest imitari eum cuius est Vicarius. Si ergo deus regit mundum per angelos ut nullus supertollatur super suum gradum et ordinem, ut nullus eximatur a suo gradu et ordine, et sicut Deus magis digno in regimine universi semper plus communicat de huiusmodi regimine; sic summus pontifex debet suam ecclesiam gubernare, ut personis existentibus in gradibus magis dignis plus communicet de huiusmodi gubernatione… Et quia contrarium huius facit exemptio, omnino concluditur quod non est facienda, sed cavenda».
[58] Ibid., f. 15v: « Advertendum autem, quod, sicut dictum est, Deus posset sine angelis mediis gubernare mundum, et aeque bene et perfecte … sed non est ita in summo pontifice, quod posset totum facere per seipsum… Et si praelatus non potest facere, quomodo summus pontifex absens hoc faciet, si tamen vult hoc facere».
[59] Come aveva già acutamente osservato Congar, Aspects ecclésiologiques cit., p. 142, Egidio è ben attento, anche nel De divina influentia in beatos, ed. cit. alla n. 57, ff. 21r-23v, ad evitare che il parallelo con il modello pseudo-dionisiano porti con sé limitazioni alla potenza assoluta di Dio (ma anche al diritto papale di intervenire nelle questioni ecclesiastiche).
[60] Egidio Romano, Contra Exemptos, ed. cit., ff. 12v/13r: «Advertendum autem est quod sicut est in hominibus, ita suo modo est in angelis. In hominibus autem est dare quinque gradus, ut grosso modo loquamur: primum Magistrum habentem cathedrae excellentiam; secundo, sunt Baccalaurei, tertio sunt Lectores; quinto est Plebs vel populus».
[61] Ibid., f. 13v: «Sicut ergo rex aliquis in hoc seculo accepit aliquo de ciuibus suis, et facit inde curiam suam in qua aliqui sunt secretarii regis intrmittentes se de omnbus que sunt; aliqui sunt magistri et iudices in cura regis agentes opera et exercentes iudicia pertinentia ad totum regimen; aliqui sunt ballivi et praepositi sparsi per diversas partes regni…».
[62] Ibid., f. 14r: «Dicuntur esse tres ordines in tertia hierarchia, videlicet Principatus, qui quasi principes intromittunt se de variis provinciis, ut princeps Persarum intromittebat se de Persia, et Michael tamquam princeps Iudaeorum, se intromittebat de populo Iudaico».
[63] Ibid., f. 14v : «propter quod dicitur, ut habetur in Daniele, quod princeps Graecorum (trattasi di errore per Iudeorum, come si evince dal f. 14r) qui erat quidam angelus, restitit principi Persarum, qui erat alius angelus, viginti et una diebus: et volebat liberare Iudeos, credens hoc esse faciendum propter multos bonos Iudaeos orantes hoc et petentes. Princeps autem Persarum hoc non permittebat, videns multa bona contingere Persis, quorum erat constitutus princeps, propter Iudeos commorantes inter illos. Uterque erat bonus angelus, et uterque volebat bonum populi sui, cuius erat pinceps. Durauit ergo ista resistentia, et ista pugna donec acceptum fuit diuinum responsum et diuinum iudicium, secundum quod fuerunt Iudaei liberati. Sic etiam in eodem capitulo vel in eodem coenobio possunt esse variae voluntates, et unus potest resister alteri, et quilibet tamen mouetur bono spiritu». Anche se nulla muta per la giustificazione della possibilità della pugna angelorum, pare che qui Egidio presuma che sia l’angelo che parla a Daniele a resistere al Princeps Persarum, mentre il testo della Vulgata suggerisce il contrario. Nelle sue In secundum librum sententiarum Quaestiones, I, d. XI art. 5, ed. Venetiis 1581 (anast. Frankfurt a/M, Minerva 1968), p. 515b-517a, Egidio parla invece di resistenza dell’angelo della Persia. Molto interessante il parallelo tra queste vicende e la situazione di corte, p. 516b: «Nam in negotio gratioso utraque pars contradictionis potest esse iusta, si adsit ibi voluntas principis».
[64] Si veda Keck, Angels and Angelology cit., passim; in particolare sull’influentissimo abate di Fiore, G. L. Potestà, Il tempo d’Apocalisse. Vita di Gioacchino da Fiore, Roma-Bari, Laterza 2004, pp. 304-311.
[65] Bonaventura a Bagnoregio, Collatio XVI, 29-30, Ad Claras Aquas, Florentiae, Coll. S. Bonaventurae 1891, pp. 407-8.
[66] Ibid. e Id., Collatio XX, 29-30, ed. cit., pp. 430-431.
[67] Nella copiosa bibliografia su questo aspetto della dottrina di Olivi, si veda D. Burr, Olivi’s Peaceable Kingdom, Philadelphia, University of Pennsylvania Press 1993, in part. pp. 40-41.
[68] Pietro di Giovanni Olivi, In Dyonisii Ierarchiam Celestem, c. IX, : « … probat (vale a dire Dionigi) hoc per auctoritatem Scripture, scilicet quod nostra ierarchia regitur immediate ab angelis dicens, quod est [tam?] quare Scriptura Sacra proprie attribuit eam angelis, quod facit tum ubi ait Michaelem esse principem populi Iudeorum, quod quidem dicit Daniel XI°; tum ubi ait alios angelos esse principes aliarum gentium, quod quidem dicit Deuteronomius 31° secundum translationem LXXa, ubi nos habemus “constituit terminum populorum iusta numerum filiorum Israel” ipsi habent “statuit numeros gentium secundum numerum angelorum dei”, ibi unamquamque gentem subiecit principatui alicuius angeli, ita quod unam uni et alteram alteri.».
[69] Ibid.: «ergo videtur quod quilibet angelus, quantumcumque infimus, habeat ampliorem potentiam ad regendum unam gentem vel unum regnum quam habeat so ad regimen inferiorum, aut quam habeat papa vel rex ad regimen regni vel ecclesie. Quid horum sit verius, deus novit. Ego enim fateor me nescire…»
[70] L’abbondante bibliografia sul tema consiglia di limitarsi ad un solo rimando. Per quanto ciò possa parere singolare, il commento all’Apocalisse dell’Olivi non ha ancora avuto un’edizione critica diffusa a stampa. Preferisco quindi rimandare ad un’ottima antologia di testi tradotti in italiano, Pietro di Giovanni Olivi, Scritti scelti, a cura di P. Vian, Roma, Città Nuova 1989, il capitolo VIII della Postilla in Apocalypsim è tradotto alle pp. 115-134.
[71] Niccolò da Lira, Postilla super totam Bibliam, III, Liber Danielis, c. 11, Strassburg, 1492 (Frankfurt/Main, Minerva, 1971), v: «Et ecce Michael unus de principibus, quia erat superior angelus angelo qui loquebatur, quia erat princeps totius synagoge, sicut est modo princeps totius ecclesie». Il tema si ritrova già, p. es., anche in Guglielmo d’Auxerre, Summa aurea, l. II, tr. V, c. VI, ed. cit., p. 116.