25
NOV
2024

Angels of the nations-II. In-depth: L’Angelicus principatus e l’angelo communitatis nella riflessione della scolastica dei secoli XVI e XVII (Fausto Arici O.P.)

Abstract

The Angelicus principatus and the communitatis angel in the reflection of the Scholastics of the 16th and 17th centuries

The article analyzes the reflections of three late Scholastic theologians (Tommaso de Vio or “Gaetanus”, Giovanni Paolo Nazari and Francisco Suárez), exposed in the commentaries on the Summa Theologiae by Thomas Aquinas, on the theme of angelic custody, with particular attention to the role of the “angels of the nations”. In contrast to Gaetanus, who reduces this figure to a function of universal custody without centrality, Nazari deepens its hierarchical and Christological dimension, connecting it to the mystical unity of the body of Christ. Suárez, on the other hand, interprets angelic custody in more secularized terms, as a functional role in the natural and political order. The article argues that, despite the due differences, the angelological debate of these centuries reflects a tension between traditional theological visions and more rational and anthropocentric perspectives, representing a key to understanding the evolution of political and theological thought of late Scholasticism.

L’articolo analizza la riflessione di tre teologi tardoscolastici (Tommaso de Vio, detto “il Gaetano”, Giovanni Paolo Nazari e Francisco Suárez), esposte nei commentari alla Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino, sulla custodia angelica, con particolare riferimento al ruolo degli “angeli delle nazioni”. In contrasto con il Gaetano, che riduce questa figura a una funzione di custodia universale priva di centralità, Nazari ne approfondisce la dimensione gerarchica e cristologica, collegandola all’unità mistica del corpo di Cristo. Suárez, invece, interpreta la custodia angelica in termini più secolarizzati, come un ruolo funzionale nell’ordine naturale e politico. L’articolo sostiene che, nonostante le dovute differenze, il dibattito angelologico di questi secoli riflette una tensione tra visioni teologiche tradizionali e prospettive più razionali e antropocentriche, rappresentando una chiave di lettura dell’evoluzione del pensiero politico e teologico della tarda Scolastica

L’ANGELUS PRINCIPATUS E L’ANGELO COMMUNITATIS NELLA RIFLESSIONE DELLA SCOLASTICA DEI SECOLI XVI E XVII (Fausto Arici O.P.)

L’Angelo delle nazioni, come figura teologico-politica, apre una serie di questioni che meritano un’attenzione particolare sotto moltissimi aspetti.

Innanzitutto è sempre bene non soprassedere sulla opportunità della nozione di teologia politica, e particolarmente questa premura si impone ex parte theologorum. Infatti, nella riflessione sulle cose di Dio, soprattutto moderna, è faticoso scovare un teologo che sia assolutamente persuaso della perfetta pertinenza di una qualsiasi definizione della cosiddetta teologia politica. Se vi sono coloro che, partendo dal basso della pratica politica, risalgono fenomenicamente fino alle sue soprannaturali implicazioni fondanti, vi sono pure coloro che partendo anagogicamente dal mistero dell’interiorità del dogma intravedono nel comportamento della politica solo delle partecipazioni ad extra dello stesso dogma. Ma, sia gli uni che gli altri, sempre con un malcelato sospetto di incompiutezza.

Penso che la presunzione di una circostanziata riflessione teologico-politica non sia certo quella di sciogliere i dubbi di queste articolate questioni dottrinali, ma sia piuttosto il proponimento di scorgere il senso di alcune letture del rapporto tra politica e teologia e, in questo caso, appoggiandosi alla figura dell’angelo delle nazioni, e non a caso mi permetto di riprendere il termine “figura”, nozione questa, che per uno scolastico d’Antico regime ha un’ampiezza significante tutta particolare.

Attenendomi il più possibile iuxta propria principia al procedere della scolastica cinque-secentesca[1], preferisco parlare di rapporto tra reggimento della cosa pubblica e Sacra dottrina, piuttosto che di rapporto tra politica e teologia. Sacra dottrina, quindi, non da intendersi come disciplina tecnicamente definita e canonizzata nei suoi contenuti e nei suoi limiti epistemici, ma come una sapienza delle cose divine che avviluppa in sé ogni ambito del conoscere e dell’agire; un sapere di vita, quindi, che è pieno perché intelligenza che tocca il significato profondo del tempo vissuto, della sua provenienza e del suo compimento.

Ma perché riproporre alla nostra attenzione quegli anni che segnano il passaggio tra il XVI e XVII secolo? Molto approssimativamente perché è in quest’intervallo di tempo che l’ampia Respublica rituale europea, omogenea e, se non unificata, quanto meno organica nei suoi riferimenti e nelle sue opzioni, comincia a disordinarsi; si disarticola, oramai in modo consolidato, in distinti tragitti speculativi ed in dissimili forme del vivere; saperi e forme del vivere che certo non nascono dal nulla, ma che affannosamente ricercano il loro fondamento, spesso con un tratto dialettico rispetto all’abituale rimando teologale, che un tempo tutto avviluppava e tutto manifestava nel suo giusto ordine.

Sullo sfondo di questa prospettiva significante, l’ordine della convivenza e dell’agire politico vuole essere inteso come una sapienza inscritta in un orizzonte escatologico che si prometteva di riproporre, adattato alle circostanze, un buon ordine già dato una volta per tutte. In questo senso l’agire politico vuole riattualizzare quell’ordine che – per quanto riguarda il vivere in società – raffigura plasticamente questo essere strutturati – con le dovute mediazioni – verso il fine della beatitudo. Ma ciò che, in questa fase storica, pare disarticolarsi è proprio questo misurato e composto rimando teologale. Pare disordinarsi, quindi, la consapevolezza di questo ponderato intreccio esistenziale tra natura e sopranaturale. L’inquieta percezione di tutto ciò è ben presente nelle riflessioni dei numerosi maestri in Sacra dottrina della cosiddetta Tarda scolastica.

Sarebbe pretenzioso voler esaurire, con un breve scritto, la complessità della riflessione tardo-scolastica, anche semplicemente per ciò che riguarda la circostanziata questione angeleologica. Per questa ragione, cercheremo di precisare il nostro breve percorso analitico soffermandoci, in modo più o meno intenzionale e forse arbitrario, sui contributi di alcuni commentatori di san Tommaso d’Aquino, che fra il XVI e l’inizio del XVII secolo cercheranno di attualizzare, di veicolare e, talvolta, di levigare in modo sostanziale un sistema di pensiero oramai assurto a dottrina da manuale.

Quel che possiamo, per ora, dedurre è che, nonostante il relativamente esiguo spazio dedicato alla questione degli angeli delle nazioni, questa resta in ogni caso oggetto di riflessione, non solo perché capitolo da affrontarsi necessariamente per un completo commento del testo dell’Aquinate, ma anche per la pertinenza che la nostra questione mostra avere, ancora alle soglie della modernità, nello sforzo di spiegare le realtà celesti e la realtà di questo mondo, fra le quali – ovviamente – le cose della politica. Cercheremo di procedere in tre tappe le quali, benché rischino di apparire arbitrarie, possono comunque proporsi come tentativo di illustrare, anche solo vagamente, un percorso di riflessione, come già detto, nella sua interezza articolato e complesso.

Il primo commentatore di san Tommaso, che è necessario prendere in considerazione, è il cardinal Tommaso de Vio detto il Gaetano (1468-1534)[2]. Limitandoci[3] alle sue glosse alla Summa di Tommaso ci soffermiamo specificamente sul commento alla quæstio 113 della Prima Pars[4]. La quæstio è dedicata dall’Aquinate alla custodia che gli angeli esercitano sugli uomini; senza porsi alcun considerevole dubbio sull’esistenza degli angeli custodi, il dottore angelico tratta sia degli angeli buoni sia dell’ostilità verso l’uomo degli angeli cattivi e, così, si interroga sulla modalità con cui si realizza questa custodia e sulla tipologia dell’angelo che realizza questo munus custodiendi. Il Gaetano pare concretamente non discostarsi dalle posizioni del Santo e con glosse inusualmente brevi si limita a confermare il procedere e i contenuti di Tommaso. Gli uomini, annota il Gaetano, hanno bisogno di una custodia angelica in statu viæ, per contro in termino non avranno dei custodi, ma dei conregnantes o dei punientes socios[5]. Questa custodia può essere particularis o universalis: l’uomo può essere custodito come singolo ed allora spetterà all’ordine più infimo degli angeli occuparsene, diversamente – in forza della maggiore perfezione di ciò che è più universale – della humana multitudo si occuperà un ordine angelico superiore[6]. Anche per il Gaetano, come già per l’Aquinate, gli angeli custodiscono sia l’uomo come singolo, sia la comunità, o meglio, la humana multitudo; ciò che forse è bene sottolineare è il senso di questa menzione della comunità; come si può cogliere dalle stesse parole dell’Aquinate alla risposta alla prima difficoltà del secondo articolo[7], a cui il Gaetano fa stringatamente riferimento nel commento all’articolo terzo[8], l’uomo è affidato alla custodia sia in quanto individuo particolare, sia in quanto parte di un collegium; in questo secondo caso il custode è assegnato a tutto il collegium, col compito di provvedere a ciascun membro nelle sue relazioni col tutto, o come in modo più preciso scrive Tommaso il custode provvede ad unum hominem in ordine ad totum collegium.[9] La custodia angelica è affidata al collegium, ma non in quanto tale, quasi fosse personificato, ma come insieme ordinato di singoli uomini, in modo che il custode abbia il compito di accompagnare e guidare le azioni esterne di ogni uomo e – per quanto riguarda specificamente il custode angelico – le azioni più intime e spirituali, quelle invisibilia e occulta[10]. Il Gaetano non si sofferma su questa fine distinzione tra collegium ed “insieme ordinato” e, quando riprende l’argomento in occasione del commento all’articolo successivo, si limita a menzionare una generica custodia universalis.

Così pure in occasione dell’ottavo articolo, in cui Tommaso si chiede se tra gli angeli che guidano popoli diversi possa esserci discordia nel caso vi sia una lotta tra i due popoli custoditi, il nostro cardinale come del resto il Santo da lui commentato, non si interroga sulla possibilità di esistenza di un angelus, o meglio, di un princeps regni, ma brevemente riprende gli argomenti scritturistici e patristici con i quali nella tradizione si è voluta spiegare la possibilità di una visione discordante della verità divina da parte di due angeli ugualmente ammessi a questa stessa luminosa visione[11].

Pare che la questione degli angeli delle nazioni, per il Gaetano del commento alla Summa, si risolva approssimativamente con un rimando non ad una specifica figura, ma ad una vaga funzione di custodia universale, non ulteriormente specificata. Una sostanziale irrilevanza che, in ogni modo, non ci permette di trarre alcun tipo di specifica conclusione circa il senso e il ruolo di una figura angelica che guida una comunità che, a ben vedere, nello specifico sarebbe meglio chiamare collegium. Sensibilmente diversa pare essere la fortuna di questa riflessione negli scritti dei successivi commentatori dell’Aquinate.

Fra questi mi sono permesso di soffermarmi sulla figura di Giovanni Paolo Nazari, domenicano, commentatore di san Tommaso, ammiratore dello stesso Gaetano, vissuto tra il 1556 e il 1641. Senza trattenermi sulle circostanze della sua vita, per le quali vi rimando ad un documentatissimo articolo di Raimondo Verardo apparso su Memorie domenicane del 1950[12], mi basta ricordare come il nostro domenicano possa rappresentare un tipico esempio di religioso d’Antico Regime, che coniuga vita religiosa e studio della Sacra Dottrina con compiti molto contigui alla politica, civica ed ecclesiale. Questo, certo, non significa che il nostro fosse attivamente impegnato nelle pratiche della politica, ma – come in molti altri casi noti – più semplicemente pose al servizio del governo della cosa pubblica un’abilità, o meglio ancora, un sapere di vita, in cui si intessono intelligenza del tempo vissuto, sapienza delle cose di Dio, prudenza dell’ufficio, credito e relazioni, anziché semplici tecnicismi o competenze pratico-professionali.

Oltre a questo ruolo di consigliere teologo di principi e nunzi[13] e oltre alle sue mansioni di legato del ducato di Milano presso il re di Spagna Filippo III, il Nazari è parzialmente noto alla letteratura teologica in forza della sua riflessione ecclesiologica sulla sussistenza mistica del Cristo nelle anime; potremmo, quindi, menzionare non solo il ruolo avuto da questa nel definirsi della scuola spirituale francese secentesca – basti pensare alle citazioni del Nazari, esplicite ed implicite, che ricorrono abbondanti in La croix de Jésus di Louis Chardon[14], un vero e proprio successo editoriale dell’epoca – ma anche, potremmo ricordare, l’attenzione a lui riservata nei grandi trattati di ecclesiologia di Emile Mersch[15] e di Charles Journet[16], nella prima metà del secolo scorso. Termino questa specie di innocente panegirico di un domenicano oramai dimenticato, rammentando come Antoine Touron nel suo Hommes illustres de l’Ordre de saint Dominique[17] del 1746 accordi al Nazari un’importanza uguale se non maggiore a quella riconosciuta al molto più noto – oggi – Giovanni di San Tommaso.

Tutto ciò, comunque, per sottolineare come Giovanni Paolo Nazari detto il Nazarius, almeno per quanto riguarda la ricezione manualistica delle sue elaborazioni, possa porsi alle stesse altezze dei grandi maestri della Seconda scolastica salmanticense domenicana e gesuita[18], e forse con – in più – quella pratica delle cose della politica che certo risulta essere un aspetto non secondario per la pertinenza della sua riflessione.

Per quanto riguarda quella che oggi ci proponiamo di chiamare angelologia politica, per quanto mi è dato sapere, quattro sono i luoghi principali in cui il Nazari tratta dell’angelo e delle gerarchie angeliche: innanzitutto, procedendo cronologicamente, al terzo capitolo dell’opuscoletto Imperialis regalisque maiestatis regimen del 1593[19], quindi nel commento alle quæstiones 50-60 della Prima Pars della Summa Theologiæ di Tommaso d’Aquino, in modo più specifico per l’oggetto della nostra riflessione, nel commento alle quæstiones 107-113, sempre della Prima Pars[20] e nel commento all’ottava quæstio della Tertia Pars[21], tutti e tre redatti fra l’anno 1615 e 1620.

Trascurando, per il momento, la complessità dell’intero discorso sugli angeli, passerei subito al commento della quæstio 113 della Prima Pars dedicata da Tommaso agli angeli custodi e, in modo particolare, al terzo articolo della medesima quæstio ove si afferma che gli angeli custodiscono gli uomini particolari, gli arcangeli – per contro – custodiscono le comunità e le società e reggono la natura. Senza dilungarmi per il momento sulla descrizione della gerarchia angelica che, com’è noto, ricalca quasi alla lettera lo Pseudo Dionigi[22], mi limito a sottolineare la sostanziale conformità della riflessione del Nostro alle classiche posizioni tomiste. Innanzi tutto, il Nazari riprende il principio secondo cui più un agente è universale, più deve essere considerato superiore e questo, ovviamente, postula che la custodia angelica si articoli secondo una particolare diversità di ordini[23]. Ma, prosegue, la multitudo humana si struttura variamente in regni, che si dividono in province, costituite a loro volta da insiemi di cittadini, in singole città e in diversa collegia sia ecclesiastici che secolari; e ciascuna di queste moltitudini è custodita da un angelo secondo un principio di dignità e di grado, proprio a ciascuna moltitudine[24]. Interessante notare come il nostro commentatore, a questo punto, faccia riferimento ad un particolare passaggio della Sacra Scrittura, mettendo in risalto – senza aggiungere un commento esplicativo – una diversità tra la versione della Vulgata e la versione della Settanta: al versetto 8 del trentaduesimo capitolo del Deuteronomio nella Vulgata si afferma che quando l’Altissimo divise i popoli, stabilì pure i confini delle genti secondo il numero degli israeliti, per contro nella versione della Settanta filiorum Israel diviene Angelorum Dei[25]. Il parametro della divisione dei popoli secondo la versione greca della Sacra Scrittura – evidenzia il Nazari – non è il numero degli israeliti, ma il numero degli angeli di Dio.

Anche nell’opuscolo Imperialis regalisque maiestatis regimen[26] il Nazari aveva affrontato, praticamente con le stesse argomentazioni e le stesse espressioni, il medesimo argomento della multiforme varietà della gerarchia angelica e del legame che questa ha con la multiforme realtà del vivere sociale umano. Con questo breve opuscoletto redatto nell’estate del 1593 e dedicato all’Imperatore Rodolfo II, presso il quale era in missione in qualità di consigliere teologo del Nunzio Cesare Speciani, il Nazari intende tratteggiare i fondamenti del potere imperiale e fra le altre cose esordisce la sua analisi con una riflessione sul principato angelico. L’insieme degli angeli è ordinato come, in modo multiforme, è ordinato un regno[27]; nel regno infatti, come analogicamente fra gli angeli, sono comprese diverse città e province rette da leggi e governanti diversi. Al di là della natura esemplificativa del parallelismo è a sufficienza evidente come per il Nazari vi sia una stretta omogeneità tra ordine del regno degli uomini e ordine degli angeli, omogeneità nelle forme certamente, ma soprattutto nel significato stesso dell’essere, nella diversità, ordinati verso qualcosa.

Diversamente, la notissima questione, tanto dibattuta, della lotta tra gli angeli custodi di due popoli in lotta – a loro volta – tra loro[28], è risolta dal Nazari senza praticamente nulla aggiungere alla posizione gregoriana che l’Aquinate sposa e descrive nell’ottavo articolo della quæstio 113 della Prima Pars[29] che come abbiamo visto era già stata ripresa dal Gaetano senza un particolare interesse d’approfondimento.

È abbastanza chiaro, in ogni modo, come gli angeli delle nazioni, per il nostro scolastico, abbiano la custodia, in termini formali, non esattamente di un popolo, certamente non della nazione, concetto questo ampiamente al di là da venire e, forse, neanche di una persona pubblica, di cui il Nazari non fa menzione. L’angelo, o meglio l’insieme degli angeli tra loro ordinati secondo dignità e grado, è custode del giusto ordine del poliedrico vivere in società: è l’insieme composito, dunque, dell’Angelicus principatus ad essere propriamente custode dell’intero composito giusto ordine terreno. Indubbiamente, come abbiamo detto, ogni realtà di questo eterogeneo ordine sociale ha preposto uno specifico angelo custode; ma questa assegnazione non può senz’altro sottrarsi all’ordine delle dignità e dei gradi, ordine non solo funzionale, ma anche significante e potremmo quasi dire esistenziale.

Ma come si può esplicitare fattualmente questo munus custodiendi? Innanzi tutto il nostro commentatore non si dilunga sulla natura del ruolo di custode dell’angelo delle nazioni e, quindi, possiamo solo analogicamente dedurne il significato scorrendo le riflessioni riguardanti la presidentia degli angeli sulle creature corporee[30] e, ovviamente, l’azione degli angeli sugli uomini[31]. Per prima cosa, ogni essere corporeo è retto dagli angeli, reguntur per angelos, in forza del fatto che le potestà particolari e corporee sono sempre governate e rette da potestà universali e spirituali[32], ma questo certo non significa che l’angelo possa governare o agire sui corpi præter ordinem naturam[33]. L’angelo ha anche un ruolo coadiutore – potremmo quasi dire – nel processo cognitivo dell’uomo: il suo intelletto infatti illumina l’uomo fortificandolo. La sua illuminazione è in grado di disporre, quindi, la volontà dell’uomo affinché tenda verso la verità divina, in divinam veritatem, in modo tale che l’intelletto acconsenta alla verità di fede non convictus ratione, ma quasi imperatus voluntate; suo compito precipuo è quello di illuminare l’uomo non solo rispetto alle cose da credere, ma soprattutto alle cose da farsi, de agendis[34]. Ma gli angeli non possono agire sull’uomo che modo ab esteriori, solo a Dio infatti compete mutare la volontà ab intus[35]. Questo perché gli angeli, avendo un ruolo suadente sulla phantasia e sulla cogitativa dell’uomo[36], muovono la sua volontà solo ex partem passionum existentium in appetitu sensitivo, muovono la volontà dell’uomo a partire dalle passioni dell’irascibile e del concupiscibile.

Non possiamo evitare di fare un cenno, a questo punto, alle considerazioni con le quali il Nazari commenta l’ottava quæstio della Tertia Pars, dedicata da Tommaso alla grazia di Cristo, inteso come caput Ecclesiæ. Considerazioni cristologiche che, indubbiamente, contribuiscono a tratteggiare il senso profondo, finanche, della questione degli angeli delle nazioni. È opinione corrente, fra quasi tutti gli scolastici del XVI e XVII secolo, ammettere che gli angeli hanno ricevuto la grazia, come Adamo, prima della caduta e indipendentemente dalla redenzione, di cui essi non hanno bisogno. Il Cristo, nella sua umanità, dunque, è caput tanto degli uomini quanto degli angeli. Come dice Tommaso[37] dove c’è un solo corpo, c’è un solo capo. Essendo, sia gli uomini che gli angeli, destinati al medesimo fine, cioè alla gloria divinæ fruitionis, questi costituiscono un solo corpo, il corpo mistico della Chiesa. Il capo di tutta questa multitudo ordinata in unità secondo operazioni e mansioni diverse[38] è il Cristo perché, propinquius al Padre, riceve i suoi doni in modo più perfetto sia degli angeli che degli uomini e su questi – angeli e uomini – esercita la sua influenza[39]. La percezione del corpo mistico, secondo i commenti tardo scolastici, si articola intorno alla concezione dell’influsso vitale e organico che emana dalla testa, dal Cristo, nonostante talvolta vi sia la tendenza ad interpretare la tommasiana multitudo ordinata in unum secundum distinctos actus sive officia, come si trattasse di un’ordinaria società secolare.

Ma questi angeli – parte costituente della multitudo ordinata-corpo mistico[40] – non sono membri del Cristo allo stesso titolo degli uomini. Su di essi non passa la grazia secondo quel movimento in qualche modo naturale che contraddistingue la modalità umana di ricevere la grazia. Ma in ogni caso essi sono dello stesso genere dell’umanità di Cristo e degli uomini: essi sono delle creature, composte di essenza ed esistenza (sostanze individuali di natura intellettuale) e pure per loro il Cristo è mediatore e fonte di grazia[41]. Il Nazari ritiene altamente probabile che su di essi l’influsso del Cristo sia minore che sugli uomini. Gli angeli, infatti, non essendo peccatori, non hanno bisogno di redenzione e la grazia è loro conferita indipendentemente del peccato originale; essi non ricevono quindi dal Cristo la vita soprannaturale, ma solamente dei suoi accrescimenti accidentali e quindi delle nuove illuminazioni, degli aumenti di felicità, un nuovo e più forte legame con Dio, un perfezionamento della loro gerarchia, potremmo quasi dire[42]. È in questi termini che possiamo parlare dell’angelo come figura, come legame esistenziale tra l’articolata economia di salvezza e la pienezza della Verità eterna: in un certo senso l’angelo è figura perché, portato dal Cristo al compimento della perfezione eterna, contribuisce a mostrarci la Verità[43].

In un’epoca in cui comincia ad affiorare con una certa insistenza una riflessione che, oggi, è abitudine considerare come secolarizzata, non devono apparire, a mio parere, irrilevanti questi accenti cristologici – e quindi ecclesiologici – sull’intera angelologia e in modo particolare sugli angeli delle nazioni. L’angelo come custode e guida di una moltitudine di uomini, per il nostro scolastico cremonese, non è una semplice strumentazione lessicale di sapore teologico, senza alcun reale contenuto teologale; l’angelo, dunque, non è ridotto al simbolo, in pratica immanente, di una sorta di forma sostanziale di un cosiddetto moderno spirito nazionale. Al contrario, nonostante tutta la complessità cui abbiamo fatto poc’anzi cenno, l’angelo, o meglio – e mi ripeto – l’insieme dell’Angelicus principatus con la sua esistenza, con la sua collocazione, con il suo ruolo coadiutorio contribuisce a rende ragione dell’articolazione del creato, che si apre strutturalmente verso il suo pieno compimento soprannaturale.

Si impone a questo punto di ritornare, a mio parere, sulla questione della gerarchia angelica non certo per descriverne i diversi gradi, ma piuttosto per cercare di scorgere quell’aspetto che, secondo il nostro commentatore, presiede sia al suo disporsi, sia al cosiddetto munus custodiendi che da essa emana. In un certo senso, a questo punto della nostra riflessione, nostro compito è quello di intravedere l’elemento formale che definisce l’Angelicus principatus come quella composita realtà celeste che contribuisce a muovere, tramite la sua azione suadente sulle passioni, la volontà degli uomini ordinati nei diversi corpi sociali, che a loro volta sono ordinati tra loro.

Come abbiamo constatato, questo munus custodiendi può esplicare la sua funzione solo in forza del fatto che le realtà angeliche sono disposte tra loro secondo un ordine di dignità e di gradi[44]; sarebbe inverosimile, infatti, pensare che ciascuna realtà angelica eserciti la sua custodia in modo autonomo, staccato rispetto alle altre. Ciò sarebbe certamente percepito da un uomo d’Antico regime come qualcosa di disordinato, diviso dal resto, quindi, in un certo senso, come qualcosa di demoniaco. Anche perché in questo caso questa realtà angelica si sottrarrebbe all’influsso vitale del Cristo-Testa: un influsso che non si può accogliere in modo privato, diretto, autonomo, ma solo grazie alla mediazione che si realizza nell’essere collocati in una gerarchia, da non intendersi come semplice posizionamento rispetto al potere. La gerarchia, infatti, secondo la nota definizione dello pseudo Dionigi e che in questo caso viene attribuita all’Aquinate[45] – e che il Nostro mette in risalto – è un ordine divino, una scienza, un’operazione che tende a farsi simile, per quanto possibile, al divino e che è portata proporzionalmente all’imitazione di Dio, secondo le illuminazioni che da Dio stesso le sono intimamente immesse. Questa gerarchia è perfettamente naturale all’angelo. Essa è l’ordo gubernationis, una moltitudine ordinata sotto il principe tendente verso un fine che è raggiungibile – e questa è un’affermazione un poco controversa – o con le facoltà della natura o grazie alla visione della divina essenza[46].

È tramite questa gerarchia che è possibile la trasmissione della manifestazione della verità da un angelo di grado superiore ad un angelo di grado inferiore, e la trasmissione di questa luce fortifica la virtù intellettuale dell’angelo che la riceve e in ultima istanza sollecita la passione dell’appetito sensitivo dell’uomo che la riceve. La virtus del corpo inferiore è rinvigorita ex propinquitate al corpo più perfetto e questo sia nell’ordine spirituale che nell’ordine localis propinquitatis[47]. L’elemento della vicinanza, o meglio, della prossimità consente, a mio parere, di cogliere il vero senso della gerarchia. Essa si configura come un necessario strutturarsi reciproco per poter tendere, così, ad veritatem divinam. Ma questo fine soprannaturale non solo è ciò che bisogna raggiungere, ma il fatto di tendervi già struttura in via verso quello specifico fine. E l’elemento formale di questo essere articolati verso il fine soprannaturale è una sorta di scambio, una sorta di reciprocità resa possibile dalla prossimità che si concretizza nel seno della gerarchia. La modalità della custodia angelica sulle nazioni, non può che essere, quindi, letta come un coinvolgimento, una partecipazione dell’uomo in quest’articolarsi in tensione verso la verità divina. Ma non si tratta di un coinvolgimento del singolo e privato uomo: esso può partecipare a questa tensione solo in quanto collocato in un ordine che si distingue e si articola secondo dignità e gradi diversi e si compone armoniosamente secondo un principio di propinquitas e di interazione commutativa. E questa riflessione, su un grado diverso, è applicabile anche ai diversi corpi sociali che costituiscono il giusto ordine: un corpo sociale non può porsi in tensione verso il fine della fruizione della verità divina che in concerto con gli altri corpi sociali.

Riprendendo una problematica cara agli scolastici del tempo e prediletta per un ammiratore del Gaetano, il Nazari si chiede se il munus custodiendi valga anche per l’homo in puris naturalibus, se cioè gli angeli custodiscano gli uomini non graziati. Senza soffermarmi sulle vastissime implicazioni dottrinali concernenti la questione della natura pura[48], mi basta sottolineare come, nonostante l’ipotesi di scuola secondo cui l’uomo puramente naturale può essere solo latamente disposto dall’angelo verso il soprannaturale, il Nostro afferma nettamente che essendo l’uomo, senza alcun dubbio, ordinato verso il soprannaturale, è proprio dell’angelo custodirlo solo per grazia[49].

Queste ultime annotazioni del nostro domenicano cremonese ci sono utili per introdurci allo studio della figura di Francisco Suarez (1548-1617)[50], autore di prima grandezza della seconda scolastica, nonché esponente di quella scuola di pensiero che fece del concetto di natura pura una categoria centrale della riflessione non solo antropologica, ma anche teologica.

Come ogni essere creato anche l’angelo – secondo Suarez – agisce tramite specifiche facoltà e pone in essere delle operazioni che non si confondono con la sua sostanza, ma sono solo suoi accidenti. Egli, essere immateriale, conosce per una sorta di infusione divina che si realizza nel momento in cui comincia ad esistere ed è contraddistinto da una volontà puramente spirituale[51]. Oltre alla conoscenza e alla volontà l’angelo possiede un’ulteriore facoltà, distinta dalle precedenti: la potenza di porre in essere azioni esteriori. Il ruolo di questa facoltà, imprimendo ai corpi un movimento locale, è quello di realizzare una connessione tra gli esseri creati e di assicurare l’amministrazione delle creature inferiori. L’angelo, dunque, agisce sullo spirito dell’uomo sia offrendo ai sensi un oggetto esteriore, sia eccitando nell’immaginazione dell’uomo dei fantasmi, sia agendo sugli umori corporali[52].

Questa particolare virtù angelica è, quindi, necessaria per favorire una relazione, una societas con il mondo corporeo, utile per concretizzare una perfetta unità e un governo opportuno di questo stesso mondo corporeo[53]. Appoggiandosi a numerose citazioni, tratte dalla filosofia classica e dai padri della Chiesa, Suarez riconosce l’esistenza di una custodia angelica che ha il compito di sovrintendere alle civitates[54] difendendo tutte le genti e le regiones[55]; tutto ciò – sempre secondo la ricostruzione del Nostro – trova conferma in sant’Agostino quando, in diversi passaggi di numerose sue opere, afferma che sopra qualsiasi res visibilis, su qualsiasi realtà distinguibile è stata posta una custodia angelica[56]. Quest’angelo dotato della necessaria facoltà per poter intervenire sui corpi e, in modo particolare, capace di influenzare il moto locale di questi stessi corpi per poter, così, promuovere o impedire il corso della realtà, è ministro – anche per il tramite di eventi eccezionali[57] – della giustizia divina distruggendo, bruciando civitates o uccidendo uomini[58]. Sembra, quasi, che il nostro teologo gesuita faccia impercettibilmente scivolare nella sua composita riflessione, ricca di riferimenti e annotazioni, una netta sovrapposizione tra ciò che è custodito dall’angelo e qualsiasi realtà distinguibile o, meglio, pare che Suarez sia persuaso da una sorta di equiparazione fra tutte le rei naturalis virtutes, le dispositiones materiæ custodite e influenzate dalle potenze angeliche[59], in modo tale che sia gli uomini sia le civitates possano essere compresi nella medesima onnicomprensiva categoria di “realtà naturale”.

Ciò che stringatamente è stato esposto con le dissertazioni sulla metafisica, era già stato oggetto di una più ampia e strutturata analisi nel secondo tomo del monumentale commento alla Summa di Tommaso, realizzato dal Nostro nella prima metà degli anni ottanta del XVI secolo[60]. Con il tomo De Angelis – ripercorrendo il modello dell’Aquinate, arricchito da notevoli rimandi alla riflessione, soprattutto, patristica – Suarez analizza minuziosamente la natura dell’angelo, le sue facoltà, le sue azioni, il suo stato di grazia, quello di colpa, le pene alle quali può essere soggetto e, nel sesto libro dedicato allo stato angelico di beatitudine, si sofferma sul munus custodiendi che spetta ad ogni angelo.

Gli angeli, solo per mezzo di una mozione locale, agiscono sui corpi[61], intesi come res corporeæ, inanimatæ ed anche irrationales con il fine di custodire gli uomini[62]. Il nostro commentatore, dopo aver stabilito che un angelo può custodire diversi uomini riuniti insieme, nello stesso tempo o in tempi diversi[63], prende in considerazione alcune tipologie di custodia angelica: per prima cosa la custodia delle singole persone e, quindi, delle comunità, delle province e dei regni[64] affermando – in più – che quell’angelo che custodisce più uomini insieme si contraddistingue per una particolare dignità rispetto a quello che, custodendo un unico uomo, singolo e privato, appartiene ad un ordine inferiore[65]. Resta da spiegare, comunque, come un angelo possa efficacemente attuare questa custodia di diversi uomini, in qualche forma, riuniti insieme[66]. Appoggiandosi a san Giustino, Suarez ritiene che si dovrebbe parlare di una custodia plurima; in altri termini – quasi premettendo che la custodia di un singolo sia, in ogni caso, più realisticamente sostenibile – il nostro teologo si spinge a sostenere che, quando un angelo custodisce un insieme di uomini, l’angelo sorvegliante rimane unico, ma si moltiplica il munus custodiendi, o meglio, si moltiplicano gli angeli, non nella loro esistenza, ma nelle loro facoltà di custodia[67].

È interessante constatare come per Suarez la custodia angelica della comunità non sia sostanzialmente messa in discussione e, ancor di più, potrebbe essere significativo mettere in parallelo questa custodia communitatis con la tommasiana custodia universalis. Dove per san Tommaso la custodia è del collegium, per Suarez è per una definita ed esplicita communitas e, ancor meglio, per una provincia o per un regnum. L’aspetto formalmente indefinito del tommasiano collegium è evidentemente superato dalla communitas suareziana, ma si mantiene, comunque, un elemento che resta centrale e che, in un certo senso, potrebbe accomunare le due analisi: sia per Suarez che, a maggior ragione, per Tommaso l’insieme di uomini custoditi non si personifica, non si riduce ad una stretta e monolitica unità quasi fosse semplicemente una persona ficta custodita dall’angelo, ma continua a mantenere la virtuosità della sua plurima composizione in diversi uomini, per preservare la quale Suarez ipotizza una moltiplicazione del munus custodiendi del medesimo angelo, rispondendo, così, a quella stessa difficoltà che suggerì a Tommaso la rappresentazione della custodia universalis come quella custodia ad unum hominem in ordine ad totum collegium[68]. Ma è in ogni modo necessario evidenziare una considerevole sfumatura che può rischiare di apparire a prima vista impercettibile ma che, a mio parere, segna una difformità essenziale fra le due analisi: la custodia communitatis “moltiplicata” di Suarez sembra supporre una comunità in cui ciascun componente, ciascun uomo è individuo a sé stante, bisognoso, in forza di questa condizione frazionata, di una custodia personalizzata; per contro, in Tommaso il collegium-comunità contempla certamente la singolarità insopprimibile di ciascun uomo, ma come un’individualità che è necessariamente e costitutivamente ordinata verso quel tutto, che altrove l’Aquinate specificherà essere la finalità ultima di ogni uomo: Dio stesso[69].

La questione dell’essere ordinati verso un fine ultimo, che tutto unifica, pare essere sostanzialmente assente nella speculazione suareziana[70]; e quest’assenza mostra, visibilmente, tutta la sua influenza nella concezione che il nostro teologo ha della communitas. Per essere un poco più precisi – senza peraltro dilungarsi oltre misura – è quasi inevitabile rinvenire nella formulazione suareziana della nozione di communitas un indebolimento, se non proprio un tangibile ridimensionamento della lettura teologico-politica della realtà. In forza della convinzione di uno stato di natura pura[71], il nostro non può evitare di affermare che il vivere associato si fonda ex institutione primæ naturæ[72]: la perfezione alla quale naturalmente mira non è il bonum spirituale, ma la fœlicitas temporalis et civilis; e l’unità di questa communitas è il frutto di un semplice atto morale posto in essere da ciascun uomo. Il vivere politico, esistente non per accidens tantum, ma per sé, è una conseguenza della pura essenza dell’uomo e non suppone altro che la creazione della natura razionale[73] e un patto fondativo realizzato fra ciascun uomo, dotato di natura razionale. Ecco, dunque, che la comunemente condivisa convinzione secondo cui ogni uomo, a prescindere dalla confessione e dallo stato di peccato, usufruisce di una custodia angelica, acquisisce per il gesuita una rilevanza del tutto particolare[74] fino ad ammettere che la custodia angelica in nessun caso può essere considerata una peculiarità della lex gratiæ, ma un naturale beneficio della natura razionale, secolarizzata, di cui ogni uomo è provvisto[75].

È particolarmente eloquente, a questo punto della riflessione e nello specifico contesto significante in cui Suarez ha tratteggiato la nozione di angelo delle comunità, menzionare un’altra tipologia suareziana di custodia angelica. Gli angeli non sono deputati solo alla custodia delle comunità e delle persone private, ma anche alla custodia dei pontefici, dei re, dei prelati e dei principi[76]. Le personæ publicæ hanno due angeli custodi, in modo tale che la loro condizione umana sia all’altezza dell’alto compito assegnato loro[77] . E come queste persone pubbliche abbisognano di una doppia custodia, così, pure, esigono una prudenza duplice, intesa come clemenza e come ciò che riguarda il bene comune[78]. L’autorità del principe di Suarez si configura come una specie di sovrapposizione, potremmo quasi stimare che si personifica e si accumula, si pone accanto alla persona del principe-uomo, secondo un’asimmetrica moltiplicazione di fini, di prerogative, di tipologie di virtù: non solo l’uomo-principe ha dinanzi a sé il fine umano che emana dalla sua pura natura, ma anche – se cristiano – il distinto fine della beatitudine ed, ancora, in quanto detentore dell’autorità, è chiamato al governo della comunità. E la menzione di una custodia angelica, da affidare specificamente ad un’autorità così concepita, non dovrebbe né meravigliare, né essere sottovalutata. L’autorità politica, naturale come l’uomo e come l’agire politico, è naturalmente orfana di una sua costitutiva apertura al soprannaturale e per questa persona pubblica, come per la communitas, pare che la speculazione suareziana voglia garantire, con la custodia angelica, una copertura extra-naturale che, quasi artificiosamente, si sopra-aggiunga alla naturalità dell’agire politico, così come il fine più alto della beatitudine celeste si sopra-aggiunge al fine della felicità temporale e civile, proprio alla natura metaphysica hominis[79].

Appare, a questo punto, chiara la notevole distanza tra la riflessione suareziana e la rielaborazione della tradizione tomista proposta dal Nazari. Per il domenicano cremonese l’uomo è naturalmente socialis præ cæteris[80], ma questo non impedisce che il suo vivere associato si configuri, in una condizione ipoteticamente primigenia, come una semplice e disordinata multitudo, che abbisogna costitutivamente di una finalità e di un’autorità capace di dirigere verso questa stessa finalità. Il Nazari individua questo fine nel tendere verso l’unità, un’unitas ordinis. Condurre all’unità, o meglio, cercare di preservare l’unità è il munus proprio dell’autorità, ben sapendo che l’unire è un avvicinare la pluralità all’unità: uniri vero dicimus plura quod unitati propinquent[81]. Il compito dell’autorità non è ridurre all’unità, ma realizzare e favorire tutte le condizioni che consentano quella prossimità che è l’effettiva essenza dell’unità. Quest’unità, dunque, è una compositio di diverse cose iunctæ tra loro, le quali, sebbene distinte o diverse, costituiscono qualcosa di unico la cui natura si può discernere dall’ordine che si stabilisce tra le componenti stesse[82]. La monarchia teandrica di Gesù Cristo è la rappresentazione più piena e compiuta di quest’unità. Le due nature del Cristo, la divina e l’umana, costituiscono una sola persona e l’unità teandrica che contraddistingue questa persona è il riferimento che ci permette analogamente di spiegare l’unità del principato terreno[83]. Sembra quasi di scorgere come per il Nazari la perfezione della potestas humana dipenda dal suo posizionarsi rispetto a quella divino-umana del Cristo, prefigurando quasi una sorta di continuità fra le due, in modo tale che sia l’estensione dell’intervallo, che le distanzia, a determinare la minore o maggiore perfezione del principato terreno[84].

Come per Francisco Suarez, anche per Giovanni Paolo Nazari possiamo parlare di un corpus mysticum politicum[85]. Forse, tra le righe del domenicano cremonese, l’aggettivo mysticum conserva un’accezione più marcatamente teologale. Questo appare abbastanza chiaro soprattutto se prendiamo in considerazione il contenuto della concezione di vincolo o, meglio, di obbligazione politica che in Suarez si limita sostanzialmente al frutto di una decisione, conseguenza di un semplice atto morale posto in essere dai partecipanti all’obbligazione, quando invece nel Nazari si lascia più margine alla prospettiva etico-teologica che si sostanzia tangibilmente nell’unità d’ordine della multitudo, in quella concreta prossimità, vicinanza dei suoi membri, dunque, che rappresenta un aspetto della comune partecipazione mistica al Cristo. La potenzialità integratrice dell’obbligazione politica ha, nel Nazari, qualcosa di mistico non solo per il carattere di reciprocità e di mutua interdipendenza che porta con sé[86], ma anche e soprattutto per quell’aspetto, già più volte menzionato, di propinquitas tra i membri dell’obbligazione. Ed è in forza di questa vicinanza mistica – ove il mistico vuole trascendere il fisico – che il tratto commutativo e sinallagmatico dell’obbligazione non si riduce ad un semplice scambio contrattuale come pare configurarsi in Suarez, ma rinvia ad una sorta di attitudine al dono – sempre reciproco e non quantificabile secondo le regole della œconomia – in cui si racchiude tutta la densità teologale di questa vicinanza[87].

Dopo questo, forse eccessivo, confronto fra due autori che rappresentano due modalità sensibilmente diverse di rielaborare la tradizione teologica, ci può apparire un poco più chiara un’eventuale pertinenza politologica della figura teologale dell’angelo delle nazioni nella riflessione della tarda scolastica. Se per il domenicano cremonese sarebbe più opportuno parlare di un Angelicus principatus che partecipa in modo costitutivo alla teologale e mistica unitas ordinis del vivere associato, per il gesuita spagnolo è inevitabile riferirsi all’angelo delle nazioni come all’angelo della communitas perfecta e, in subordine, all’angelo delle personæ publicæ, che si ritrova sospeso tra una dimensione teologale, che dovrebbe essergli per definizione propria, e una realtà custodita strettamente naturale, rischiando quasi di apparire – così – come una semplice strumentazione lessicale-concettuale di tipo teologico, diretta a conferire un forzato supporto teologico ad una realtà la cui comprensione è oramai in via di secolarizzazione[88]. È in questo senso che potremmo azzardarci a sostenere che l’angelo del gesuita, manchevole di un’esplicita “collocazione mistica”, rappresenterebbe una “figura” sempre più in difficoltà nel tentativo di rappresentare pienamente quel percorso teologale, che prevedrebbe, per essere compiuto, un’imprescindibile ricapitolazione nel Cristo.

 

 

[1]  Riguardo a questo specifico periodo storico è necessario segnalare una particolare devozione per gli angeli custodi che travalica abbondantemente la speculazione teologica scolastica, in merito mi permetto di rinviare agli studi di M. Petrocchi, Storia della spiritualità italiana, vol. II, Roma 1978, pp. 187-193 ed in modo particolare G. Giachi (a cura di), Luigi Gonzaga. Lettere e scritti, Roma 1990, pp. 210-236.

[2]  Nato a Padova 1468 e morto a Roma nel 1534; religioso domenicano considerato come il più rilevante fra i commentatori dell’opera dell’Aquinate; maestro generale dell’ordine dei predicatori e cardinale. Autore, fra molto altro, di un Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo (a Padova), rimasto inedito (Il manoscritto è conservato alla Bibliothèque Nationale de France, Cod. lat. 3076, Parigi) e delle opere Commentaria in Summam Theologiam, ed. H. Prosper, Lyræ, 1892, ripreso in l’Editio leonina di Tommaso d’Aquino, vol. IV-XII; Commentaria in ‘De anima’ Aristotelis, ed. M.-H. Laurent, Rome 1938; In De ente et essentia, ed. Laurent, 1495. Suggerisco la consultazione oltre che delle voci dei dizionari di riferimento anche dei seguenti contributi: M.J. Congar, “Bio-bibliographie de Cajetan”, Revue thomiste (1934), suppl., pp. 3-49 ; J. Wicks, “Between Renaissance and Reformation: the Case of Cajetan”, Archiv für Reformationsgeschichte 68 (1977), pp. 3-91; B. Pinchard et S. Ricci (a cura di), Rationalisme analogique et humanisme théologique. La culture de Thomas de Vio ‘Il Gaetano‘ , (Actes du Colloque de Naples, 1er-3 novembre 1990) Napoli 1993; C. Morerod, Cajetan et Luther en 1518. Édition, traduction et commentaire des opuscules d‘Augsbourg de Cajetan, 2 t., Fribourg 1994.

[3]  Se il presente lavoro fosse dedicato alla riflessione angeleologica del solo Gaetano sarebbe stato molto interessante poter studiare anche i possibili commenti angelologici contenuti nel commento del Nostro alle Sentenze del Lombardo; ma questo avrebbe comportato una serie di difficoltà fra le quali anche il cattivo stato di conservazione del manoscritto, o meglio (probabilmente) della tarda trascrizione per mano di un copista, conservata alla Biblioteca Nazionale di Francia.

[4]  Sancti Thomæ Aquinatis Opera omnia, Editio leonina, t. V, Pars Prima Summæ theologiæ, a quæstione L ad quæstionem CXIX cum commentariis Thomæ de Vio Caietani Ordinis prædicatorum, Romæ 1889, pp. 525-532.

[5]  Cfr. Ibid., Commentaria in quæst. 113, art. 4, p. 529: «Homines in termino non habebunt custodes, sed conregnantes, aut punientes socios».

[6]  Ibid., Commentaria in quæst. 113, art. 3, p. 528: «Custodia hominum est duplex, particularis, et universalis; ut patet ex responsione ad primum in precedenti articolo. […] custodia particularis hominum pertinet ad infimum ordinem angelorum tantum. Primo, probatur: custodia universalis multiplicatur secundum diversos ordines. […] quia quanto agens est universalius, tanto est superius. Secondo, explanatur ipsa multiplicatio, ascendendo a multitudine humana ad omnia corpora, ad dæmones, ad Angelos, ad Archangelos vel principes, Virtutes, Potestates, et Principatus vel Dominationes…».

[7]  Cfr. Ibid., quæst. 113, art. 2, ad 1um, p. 526.

[8]  Ibid., Commentaria in quæst. 113, art. 3, p. 528: «ut patet ex responsione ad primum in precedenti articulo» senza aggiungere null’altro.

[9]  Ibid., quæst. 113, art. 2, ad 1um, p. 526: «Alio modo, inquantum est pars alicuius collegii: et sic toti collegio unus homo ad custodia præponitur, ad quem pertinet providere ea quæ pertinet ad unum hominem in ordine ad totum collegium».

[10]   Ibid.: «Angelorum autem custodia deputatur hominibus etiam quantum ad invisibilia et occulta, quæ pertinet ad singulorum salutem secundum seipsos».

[11]  Ibid., Commentaria in quæst. 113, art. 8, p. 532: «Titulus clarus. Primo, occasio quæstionis: et est auctoritas Danielis [10:13 e ss.]. Secundo, expositio Hieronymi. Et est remotio quæstionis: quia ponit quod intelligitur de pugna inter bonum et malum Angelum ; hic autem est quæstio de pugna inter bonos. Tertio expositio Gregorii. Et est confirmatio quæstionis : quia de sanctis angelis inter se, exponit. Quarto, respondet quæstio una conclusione affirmative : inter angelos potest esse pugna, non discordia voluntatum, sed contrarietate meritorum eorum pro quibus pugnare dicuntur. Prima pars patet auctoritate scripturæ. Seconda probatur: quia volunt omnes expleri ordinem divinæ sapientiæ. Tertia probatur: quia merita diversorum a diversis custoditorum, contingit esse contraria respectu prælationis ad invicem; et nescire quid Deus velit fieri. Ipsum enim consumere de pugnantibus, est pugnare. Hæc non repugnant beatitudini».

[12] R. A. Verardo, «Un commentatore di San Tommaso. Giovanni Paolo Nazari O.P. (1556-1641). Studio bio-bibliografico», estratto dalla rivista Memorie Domenicane, Pistoia 1949-1950.

[13]  Per l’importante ruolo del Nazari accanto allo Speciano, Nunzio a Praga, suggerisco la lettura di P. Carta, Nunziature ed Eresia nel cinquecento. Nuovi documenti sul processo e la condanna di Francesco Pucci, Padova 1999, con particolare attenzione, soprattutto, il IV capitolo: Cenni sulla politica ecclesiastica e sui nunzi di Germania degli anni ’90 del Cinquecento, pp. 101-140; nonché D. Quaglioni, «Prudenza politica e ragion di stato nelle Proposizioni morali e civili di Cesare Speciano (1539-1607)», in Annali di storia moderna e contemporanea, II(1996), 2, pp. 45-56

[14] L. Chardon, La croix de Jésus où les plus belles vérités de la théologie mystique et de la grâce santifiante sont établies, introduzione di F. Florand, Paris 1937.

[15]  Cfr. E. Mersch, Le corps mystique du Christ. Etudes de théologie historique, 2 t., Paris 1951, t. I p. 80, t. II pp. 189-192, 223-225, 235-238, 287-289.

[16] Cfr.  C. Journet, L’Eglise du Verbe Incarné. Essai de théologie spéculative, 3 t., Paris 1951-1969, t. II, pp. 131, 272, 226-227, 270.

[17]  A. Touron, Hommes illustres de l’Ordre de saint Dominique, 6 t., Paris 1745-1749, t. V, pp. 258-268.

[18]  Mi permetto di rinviare, come ampia e articolata introduzione a questo periodo della riflessione teologica, a J. Belda-Plans, La Escuela de Salamanca y la renovacion de la teologia en el siglo XVI, Madrid 2000.

[19] Imperialis regalisque maiestatis regimen, cuius gratia huic brevi compendio inferuntur Monarchia Divina, Angelica, Theandrica, & Ecclesiastica. Auctore frate Ioanne Paulo Nazario Cremonesi Sacræ Theologiæ lectore Ordinis Prædicatorum, Teologo illustrissimo & Reverendissimo D.D. Cæsaris Speciani Episcopi Cremonensis S. Sedis Apostolicæ Nuncij apud Cæsaream Maiestatem, Pragæ, Typis Georgii Nigrini, anno 1593, d’ora in poi mi permetto di riferirmi alla presente edizione di quest’opuscoletto come Imperialis regalisque maiestatis regimen. Cfr. III capitolo, Angelicus principatus, pp. XII-XIV. Per completezza menziono una successiva edizione del medesimo trattato, da me consultata: Imperialis regalisque maiestatis regimen, cuius gratia huic brevi compendio inferuntur Monarchia Divina, Angelica, Theandrica, & Ecclesiastica. Auctore fr. Io. Paulo Nazario Cremonesi Sacræ Theologiæ Doctore Ordinis Prædicatorum. Ante triginta tres annos Pragæ impressa, & publica disputatione defensa, Bononiæ, apud Nicolaum Tebaldinum 1625, pp. 543-570 (opuscolo inserito all’interno di un volume privo del frontespizio, contenente altri scritti del medesimo autore).

[20] Prima Pars Summæ Theologicæ angelici doctoris S. Thomæ Aquinatis cum commentariis et controversiis. ADM R.P.F. Io. Pauli Nazarii cremonensiis; ordinis Prædicatorum, Sacræ Theologiæ Magistri ex Provincia utriusque Lombardiæ, Bononiæ apud hæredes Ioannis Rossii, MDCXX. D’ora in poi In Iam.

[21] Tertia Pars Summæ Theologiæ angelici doctoris S. Thomæ Aquinatis cum commentariis et controversiis. ADM R.P.F. Io. Pauli Nazarii cremonensiis; ordinis Prædicatorum, Sacræ Theologiæ Magistri ex Provincia utriusque Lombardiæ, apud hæredes Ioannis Rossii, Bononiæ MDCXX. D’ora in poi In IIIam.

[22] Cfr. Pseudo Dionigi l’Areopagita, Gerarchia celeste. Teologia mistica. Lettere, trad. it., introd. e note a cura di S. Lilla, Roma 1986.

[23] In Iam, quæst. 113, art. 3, Expositio textus, p. 590: «Quanto agens fuerit universalius nimirum universalitate causalitatis et extentionis ad plures effectus, tanto est superius, ut scilicet per conversionem dicatur: quanto agens fuerit superius, tanto est universalius. […] Ex his ulterius sequitur secunda conclusio D. Thomæ, videlicet custodiam universalem multiplicari secundum diversos ordines».

[24] Ibid., p. 591: «Cum autem multipliciter dividatur humana multitudo scilicet in Regna, quæ dividuntur in provincias quorum sunt multæ civitates, et oppida et in civitatibus diversa collegia, tam Ecclesiastica quam sæcularia, certum esse debet unicuique moltitudini unum aliquem Angelum ex prænomimatis ordinibus esse prepositum iuxta cuiusque multitudinis dignitatem et gradum. Quod ex pluribus divinarum scripturam locis sancti Patres probare consueuerunt».

[25] Ibid.: «Deut. XXXII [nell’edizione da me consultata, erroneamente, viene indicato il capitolo 23]: Constituit terminos populorum iuxta numerum filiorum Israel. LXX: Constituit terminos populorum iuxta numerum Angelorum Dei».

[26] Imperialis regalisque maiestatis regimen, cap. III Angelicus principatus, pp. XII-XIV.

[27] Ibid., p. XII: «quemadmodum & sub uno Rege diversæ sunt civitates, aut provinciæ, quæ disparibus reguntur legibus & ministris».

[28] Dn 10:13-21.

[29] Cfr. Ia, quæst. 113, art. 8, p. 531-532 e In Iam, quæst. 113, art. 8, pp. 597-598: «Conclusio est: Angeli resistere sibi invicem, seu pugnare dicuntur, in quantum de contrariis meritis, et sibi repugnantibus divinam consulunt voluntatem, non quia sint eorum contrariæ voluntates, se, quia ea, de quibus consulunt, sunt repugnantia».

[30] Cfr. In Iam, quæst. 110, pp. 559-561.

[31] Cfr. Ibid., quæst. 111, pp. 561-567.

[32] Ibid., quæst. 110, art. 1, p. 559: «Conclusio est. Omnia corporalia reguntur per angelos. […] Potestas particularis gubernatur et regitur a potestate universali: at virtus cuius libet corporis est particularis virtus vero substantiæ spiritualis est universalis».

[33] Ibid., art. 3, p. 562: «Natura corporalis nata est moveri immediate a natura spirituali secundum locum»; e art. 4, p. 563: «Solus Deus potest miracula facere. […] solus Deus potest aliquid facere præter ordinem naturæ».

[34] Ibid., quæst. 111, art. 1, p. 564: «Ad primum ergo dicendum quod ad fidem duo concurrunt. Primo quidem habitus intellectus quo disponitur ab obœdiendum voluntati tendenti in divinam veritatem. Intellectus enim assentit veritati fidei non quasi convictus ratione sed quasi imperatus voluntate. Nullus enim credit nisi volens et quantum ad hoc fides est a solo Deo. Secundo requeritur ad fidem, quod credibilia proponantur credenti: et hoc quidem sit per hominem, secundum, quod fides est ex auditu, ut dicitur Rom 10. Sed per angelos principaliter per quos hominibus revelantur divina unde angeli operantur aliquid ad illuminationem fidei. Et tamen hominess illuminantur ab angelis non solum de credendis, sed etiam de agendis».

[35] Ibid., art. 2, pp. 564 e 565: «Adhibita distinctione bimembri, respondet quæstio tribus conclusionibus. Distinctio est: voluntary: uno modo ab interiori, alio modo ab exteriori. […] Solis Deus possunt movere voluntatem ab intus. […] Angeli possunt movere voluntatem ex partem passionum existentium in appetitu sensitive non tamen ex necessitate. […] Angelus autem et homo per modum suadentis».

[36]  Ibid., art. 3, p. 566: «Angelus tam bonus, quam malus virtute naturæ suæ potest movere immaginationem hominis».

[37] Sancti Thomæ Aquinatis Opera omnia, Editio leonina, t. XI, Pars Tertia Summæ theologiæ, a quæstione I ad quæstionem LIX cum commentariis Thomæ de Vio Caietani Ordinis prædicatorum, Romæ 1903, quæst. 8, art. 4, corpus, p. 131: «Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [quæst. 8, art. 1, ad 2um], ubi est unum corpus, necesse est ponere unum caput».

[38]  Ibid.: «Unum autem corpus similitudinarie dicitur una multitudo ordinata in unum secundum distinctos actus sive officia. Manifestum est autem quod ad unum finem, qui est gloria divinæ fruitionis, ordinantur et homines et angeli».

[39]  Ibid.: «Unde corpus Ecclesiæ mysticum non solum consistit ex hominibus, sed etiam ex angelis. Totius autem huius multitudinis Christus est caput: quia propinquius se habet ad Deum, et perfectius participat dona ipsius, non solum quam homines, sed etiam quam angeli; et de eius influentia non solum homines recipiunt, sed etiam angeli».

[40] In Iam, quæst. 108, art. 1, pp. 532 e 533: «[…] Hierarchia potest dupliciter considerari; uno modo ex parte principis; alio modo ex parte multitudinis ordinate sub principe. Probatur hæc distinctio: quia hierarchia est sacer principatus duo intelliguntur, scilicet ipse princeps et multitudo ordinata sub principe; ergo hierarchia potest dupliciter considerari. Prima conclusio est: si consideretur hierarchia ex parte principis, non solum omnium angelorum, sed etiam totius creaturæ rationalis, quæ sacrorum particeps esse potest, una est hierarchia. Probatur primo ratione: quia unus est Deus princeps non solum omnium angelorum sed etiam hominum et totius creaturæ ; ergo. Secundo probatur authoritate Augustini, prout. in tex. Secunda conclusio : si hierarchia consideretur ex parte multitudinis ordinatæ sub principe distinguendo est humana hierarchia ab angelica. Probatur: si consideretur Principatus ex parte multitudinis ordinatæ sub principe, sic unus principatus dicitur, secundum quod multitudo potest uno eodem modo gubernationem principis recidere: quæ vero non possunt secundum eundem modum gubernari a Principe, ad diversos principatus pertinet: at homines alio modo divinas illuminationes percipiunt, quam angeli, ergo».

[41]  Cfr. E. Mersch, Le corps mystique du Christ. op. cit., t. II, p. 225 e ss.

[42]  Cfr. Ibid.; interessanti sono, anche, i vari rimandi che il Mersch suggerisce.

[43] Cfr. A. Guggenheim, «Verité et figure», in Revue Thomiste, 104 (2004), Actes du colloque “Veritas. Approches thomiste de la verité”, organisé par l’Institu Saint-Thomas-d’Aquin à Toulouse les 23-24 mai 2003, sous la direction de S.-T. Bonino, pp. 221-239.

[44]  Per quest’aspetto della gerarchia angelica e delle implicazioni reciproche fra i diversi ordini e gradi di angeli, particolarmente esplicativa è la già citata dissertazione sugli angeli contenuta nell’Imperialis regalisque maiestatis regimen.

[45] Sancti Thomæ Aquinatis Scriptum super libros sententiarum, curâ R.P. Mandonnet, 3 t., Parisiis 1929, lib. II, dist. 9, quæst. 1, art. 1, t. II, p. 225: «Hierarchia est divinus ordo et scientia et actio Deiformis, quantum possible est, similans et ad inditas ei divinibus illuminations proportionabiliter in Dei similitudinem conscendens».

[46] In Iam, quæst. 108, art. 4, p. 539: «Ordo gubernationis, qui est ordo multitudinis sub principe existentis, attenditur per respectum ad finem…».

[47] Ibid., quæst. 106, art. 1, p. 502: «Antecedens probatur: quia virtus imperfectioris corporis confortatur ex situali propinquitate perfectioris corporis. […] quoniam hoc facit in spiritualibus ordo conversionis, quod facit in corporalibus ordo localis propinquitatis».

[48]  Cfr. H. de Lubac, Surnaturel. Etudes historiques, Paris 1946, specialmente cap. V, pp. 116 e ss.; Id., Augustinisme et théologie moderne, Paris 1965, specialmente capp. V e VI; J. Alfaro, Lo natural y lo sobrenatural. Estudio historico desde santo Tomas hasta Cayetano (1274-1534), Madrid 1952; F. Todescan, Lex, natura, beatitudo. Il problema della legge nella scolastica spagnola del secolo XVI, Padova 1973; E. de Moulins-Beaufort, Anthropologie et mystique selon Henri de Lubac. “L’esprit de l’homme” ou la présence de Dieu en l’homme, Paris 2003, specialmente la seconda parte, pp. 259 e ss. E soprattutto rimando all’ampia analisi contenuta nel numero monografico della Revue thomiste: «”Surnaturel”: une controverse au cœur di thomisme au XX siècle», CIX, I-II (2001).

[49] In Iam., quæst. 113, art. 2, p. 583: «Si namque consideretur officium angelicæ custodiæ in ordine ad finem ipsorum angelorum et hominum naturalem, convenit aqngelis custodiendi munus a natura: quod efficacites evincit argumentum, quo probatur in textu conclusio: si vero consideretur in ordine ad finem supernaturalem, convenit angelis hominum custodia secundum dona gratuita completive, secundum dona vero naturalia dispositive. Et quia Deus hominem et angelum non ad finem tantum naturalem, sed etiam ad supernaturalem ordinavit, ideo simpliciter loquendo, convenit angelis officium hominess custodiendi, non a natura, sed ex gratia Dei dirigentis hominess in beatitudinem supernaturalem iuxta illud Apostoli Hebr. 1: “Omnes sunt administratorii Spiritus in ministerium missi propter eos qui hæreditatem capiunt salutis”; prout etiam Zumellus hic expicat, et defendit, propositis et salutis duobus argumentis».

[50]  Francisco Suarez nasce a Granada il 1548 e muore a Lisbona il 1617. Membro della Compagnia di Gesù fu autore di numerosi trattati filosofici e teologici: tra il 1581 e il 1585 commenta la Summa Theologiæ di san Tommaso e successivamente il De Verbo incarnato (1590), De Mysteriis vitæ Christi (1592), Disputationes metaphysicæ (1597), De Censuris (1603), De Legibus (1612), Defensio fidei (1613). Fra la vastissima letteratura mi permetto di segnalare, per ciò che ci riguarda: V. Aubin, “Suárez”, in Dictionnaire d’éthique et de philosophie morale, a cura di M. Canto-Sperber, Paris 1996, 1472-1476; L. Cedroni, La comunità perfetta. Il pensiero politico di Francisco Suarez, Roma 1996; J.-F. Courtine, “Théologie morale et conception du politique chez Suárez”, in Les Jésuites à l’âge baroque (1540-1640), a cura di L. Giard e L. de Vaucelles, Grenoble 1996; Id., Il sistema della metafisica. Tradizione aristotelica e svolta di Suarez, tr. it. a cura di C. Esposito, Milano 1999; Id., Nature et empire de la loi. études suaréziennes, Paris 1999; Id., “Vitoria, Suárez et la naissance du droit naturel moderne”, in Histoire de la philosophie politique, t. II, Naissances de la modernité, a cura di A. Renaut, Paris 1999, pp. 127-181; L. Foisneau, “L’autorité de la scolastique: enjeux politiques de la critique du libre-arbitre (Hobbes, Bramhall, Suárez)”, in Aspects de la pensée médiévale dans la philosophie politique moderne, a cura di Y.-Ch. Zarka, Paris 1999, pp. 167-190 ; M. Pécharman, “Les fondements de la notion d’unité du peuple chez Suárez”, in Aspects de la pensée médiévale dans la philosophie politique moderne, op. cit., pp. 104-126; J. Peña, “Droit naturel et idée du politique: Spinoza face à Suárez”, in Aspects de la pensée médiévale dans la philosophie politique moderne, op. cit., pp. 191-209.

[51]  F. Suarez, Disputaciones metafisicas, edizione e traduzione dal latino a cura di S. Ragade Romeo, S. Caballero Sanchez e A. Puigcerver Zanon, 6 voll., Madrid 1963, V vol., disp. XXXV, sect. VI, pp. 598-618. D’ora in poi Disp.

[52]  Cfr. L. Mahieu, François Suarez, sa philosophie et les rapports qu’elle a avec sa théologie, Paris 1921. Si veda in modo particolare il capitolo “La substance créée immatérielle” pp. 264-275.

[53]  Disp. XXXV, sect. VI, n. 17, p. 609: «Præterea fuit necessaria hæc virtus intelligentiis, ut possent aliquam commexionem et societatem habere cum hoc mundo corporeo, quod ad perfectam unitatem et convenientem gubernationem eius fuit expediens».

[54]  Ibid., n. 18, p. 610: «Sic Plato in Timeo affirmat Deum universo mundo præfecisse dæmones, id est, angelos qui regant tamquam iuxta distributiones suas, quas assignavit eis Deus, quod observavit Eugub., lib. V, c. 12; et multa similia refert Clemens Alex., lib. IV Stromat., ex Orpheo, Menandro et aliis, quos dicit agnovisse etiam singulis hominibus singulos angelos datos in custodiam ; et libro VI in fine, dicit per gentes et civitates esse distributas angelorum præfecturas».

[55]  Ibid., pp. 610-611: «Damascen., lib. II, c. 3: Prout a summo illo opifici destinati et collocati sunt, certas quisque terræ partes custodiunt, gentesque et regiones tuentur, ac res nostras gubernant, nobisque opem ferunt».

[56]  Ibid., p. 611: «Et Augustinus, VIII Genes. ad litter., c. 24, et  III de Trinit., c. 4, et lib. LXXXIII Quæstionum, in 79, ita hoc confirmat, ut dicat unicuique rei visibili angelicam potestatem esse præpositam».

[57]  Cfr. Ibid. È interessante scorgere, nella riflessione suareziana proposta nelle Disputationes, come l’angelo sia capace di atti eccezionali; questi atti non devono essere confusi con i miracoli, sebbene possano apparire tali all’uomo.

[58]  Ibid.: «Item mediante hoc motu, interdum sunt ministri divinæ iustitiæ, destruendo et comburendo civitates, aut homines etiam uccidendo».

[59]  Ibid.: «sed quod intelligentiæ naturali cognizione perspectam habeant uniuscuiusque rei naturalis virtutem, materiæ dispositionem et omnium astrorum influxum et aspectum».

[60]  F. Suarez, e Societate Jesu, Opera Omnia. Editio nova, a D. M. André, canonico rupellensi. Juxta editionem venetianam XXIII tomos in Fo continentem, accurate recognita, Parisiis MDCCCLVI, Tomus secundus.

[61]  Ibid., II, VI, XVII, § 4, p. 747: «contra quos errores in Metaphysica, disput. 15, section. 2, num. 9, et disputat. 81, section. 1, et disp. 35, section. 6, et supra in libro sexto ostendimus, Angelos nihil posse agere in corpora, nisi localem motionem».

[62]  Ibid., § 5, p. 747: «[…] totum autem ministerium angelicum circa res corpreas, sive inanimatas, sive irrationales, est propter hominum custodiam».

[63]  Ibid., § 10, p. 749: «Utrumque enim attigit Magister, in 2, dist. 11, cap. 2 et 3, et putat necessario dicendum esse, plures homines ab uno Angelo custodiri, sive eodem (inquit) sive diversis temporibus».

[64]  Ibid., § 7, p. 748 : «Atque hæc testimonia generalia sunt : præter ea sunt multa alia, quæ de custodia singularum personarum, communitatum, provinciarum, vel regnorum in particulari loquuntur, quæ in singulis punctis paulo postea afferemus».

[65]  Ibid., § 10, p. 750: «Quod fundamentum magis urgebit, si supponamus, solos Angelos infimi ordinis ad custodiam singulorum privatorum hominum destinari».

[66]  Ibid., § 11, p. 750: «De successiva vero custodia plurimum hominium ab eodem Angelo major est probilitas, nec vero conjecturam, quæ contrarium multum suadere possit».

[67]  Ibid.: «Justinus enim, in ult. quæstionum lib., q. 30, id quidam indicat, habet tamen fundamentum parum verisimile. Nam imprimis supponit, quod mox diximus, unum Angelus nunquam simul custodire plures homines, unde infert, sicut crescit numerus dominium, ita etiam crescere numerum Angelorum, non quidem in existendo, sed in munere custodiendi, nam antequam (inquit) munus custodiendi assumano, alia munera eorum, qui præsunt propria, hominum causa explent».

[68]  Sancti Thomæ Aquinatis Opera omnia, Editio leonina, t. V, Pars Prima Summæ theologiæ., quæst. 113, art. 2, ad 1um, p. 526.

[69]  Basterebbe rimandare all’indiscussa centralità nella riflessione di san Tommaso delle cinque quæstiones sulla beatitudine che aprono la Secunda Pars della Summa, prima della divisione tra morale generale (IaIIæ) e morale speciale (IIaIIæ), annunciata nella quæstio 6.

[70]  J.-F. Courtine, Nature et empire de la loi, op. cit., p. 46: «Si le principe […] de l’ordo ad Deum, constitue la véritable clef d’intelligibilité pour l’architecture ou l’économie de la Somme Théologique, non seulement un tel principe est tout à fait étranger aux Disputationes metaphisicæ qui s’élabore sur la base de l’unité du concept commun et univoque d’être, sous lequel “tombent” aussi bien la multiplicité des étants finis que Dieu appréhendé comme ens finitum, mais encore il ne règle aucun des grands traités qui, du De divina substantia, au De Incarnatione, en passant par le De ultimo fine hominis, constituent pourtant comme autant de commentaires aux questions traités dans les Sommes du Docteur Commun».

[71]  Ibid., p. 51: «En passant de Thomas d’Aquin à Suarez et à la néoscolastique jésuite en générale, on assiste à une transformation graduelle des concepts de natura et de ratio. Mais en réalité, les bouleversement profonds, par rapport à l’équilibre thomiste, introduits par Suarez, dans sa théologie morale et sa théologie politique, se laissent reconduire à cette décision principielle qu’est l’introduction, fût-ce à titre d’hypothèse méthodique, de l’idée de pura natura».

[72]  F. Suarez, Opera Omnia, III De opere sex dierum, V, VII, § 6, p. 415 : « […] et fundamentum esse debet, quia conjunctio hominum in unam civitatem, non per accidens tantum ratione peccati, aut corruptionis naturæ, sed per se convenit homini in quocumque statu, et ad perfectionem ejus pertinet».

[73]  Cfr. M. Pécharman, “Les fondements de la notion d’unité du peuple chez Suárez”, in Aspects de la pensée médiévale dans la philosophie politique moderne, op. cit., p. 117.

[74]  F. Suarez, Opera Omnia, II, VI, XVII, § 14, p. 751: «Dicendum vero in primis est, non solum justos, sed etiam peccatores, neque solos fideles, sed etiam infideles, neque solo baptizatos, sed etiam non baptizatos, habere Angelos custodes».

[75]  Ibid., § 19, p. 753: «Tertio ex dictis inferri potest, hoc beneficium custodiæ angelicæ non esse peculiare legis gratiæ […] beneficium hoc ex eo præcise quod habet naturam rationalem».

[76]  Ibid., § 24, p. 755: «Denique hinc etiam probabile est, licet singulis personis privatis singuli Angeli destinetur, nihilominus Pontificibus, Regibus, et allis Prælatis, ac Principibus paculiares angelos ad eorum custodiam, ac regimen deputari».

[77]  Ibid., «Unde mihi probabile sit, quod communiter creditur, has personas publicas, duos habere Angelos custodes, nimirum, iferiores quatenus tales personæ sunt, et superiores ratione muneris».

[78]  Ibid.: «Nam sicut duplici egent prudentia, et rectitudine et illa, quæ ad bonum commune pertinet, altioris rationis est, ita duplici indigent gubernatore, et custode Angelo».

[79]  J.-F. Courtine, Nature et empire de la loi, op. cit., pp. 52-53: «Car c’est en vertu même de sa création, rappellent-ils, que l’homme a été constitué en vue d’une béatitude d’essence purement naturelle, et dans l’hypothèse où, en fait, l’homme se trouverait appelé historiquement à une fin plus haute, celle-ci ne pourrait donc être en toute rigueur qu’une fin “surajoutée”».

[80]  Cfr. Imperialis regalisque maiestatis regimen, § V, p. XVII, lin. 27.

[81]  Ibid.,  p. XIX : «Neque etiam plures multitudinem poterunt in officio continerem, si dissentionum divisione laborent, oportet ergo inter sese consentire atque unum offici, ut salubriter præsint, non enim multi navim in unam partem trahent, nisi fuerint aliqua rationc coniuncti; Uniri vero dicimus plura quod unitati propinquent; melius itaque regit unus, quam plures unitate coniuncti».

[82]  Ibid.,  § XIV, p. XL, lin. 1-4: «Cum ex plurium rerum una iunctarum compositione unum aliquod totum construitur, ex rebus illis inter se licet valde distantibus, totius compositi diiudicatur natura».

[83]  Nello stesso modo in cui le due nature del Cristo sussistono in una sola persona così il Cristo stesso con il suo corpo mistico costituisce una sola persona mistica, che ha due modi d’esistere [In IIIam, q. I, art. 2, controv. III]. Il primo modo coincide con il Cristo in quanto testa dell’intero corpo, il secondo coincide con il sussistere del Cristo stesso nei fedeli che ricevono da Lui la grazia e la carità. In conformità a questa seconda modalità il Cristo ha il ruolo della personalità sia di ogni membro del suo corpo, sia di parecchi membri insieme o dello stesso insieme. Il Cristo – chiosa E. Mersch in Le corps mystique du Christ. op. cit., t. II p. 288 – comunica, dunque, alle nostre azioni finite le sue qualità illimitate, sul modello della comunicazione che si stabilisce tra le sue due nature. L’agire politico dell’uomo nella società è un agire che non si può distinguere e disarticolare dal vivere ecclesiale. Vi è una sovrapposizione che travalica abbondantemente il desiderio di cogliere dei singoli tratti, sebbene fondamentali, di armonia tra politica e religione o tra politica e morale. Il vivere ecclesiale e l’agire politico, secondo un grado diverso, sono le imprescindibili partecipazioni a quel corpo mistico in cui il Cristo sussiste come persona e in cui il Cristo comunica la sua grandezza. Egli è la sussistenza del suo corpo mistico e i membri di questo corpo – gli uomini – sussistono misticamente nella grazia del Cristo stesso, Cfr. L. Chardon, La croix de Jésus, op. cit., pp. LXXVII-LXXVIII.

[84]  Imperialis regalisque maiestatis regimen,  § XIV, p. XL, lin. 7-10: «Quæ [la monarchia teandrica del Cristo] quanto nobiliorem sortita est Monarchæ Maiestatem, tanto longiori post se quælibet humanæ potestatis Imperia relinquit intervallo».

[85]  Cfr. L. Cedroni, La comunità perfetta. Il pensiero politico di Francisco Suarez, op. cit., pp. 49 e ss. Secondo l’autrice, l’obbligazione politica è intesa come un vincolo sociale, giuridico e politico e, nei suoi contenuti formali, come dovere generale di obbedienza alle leggi e come insieme di diritti e doveri reciproci tra cittadini e governanti all’interno dello stato [Cfr. De Legibus, III, 18, 6]. Solo nella Defensio fidei il problema dell’obbligazione politica sarà affrontato dal punto di vista della realtà storico-politica. I postulati fondamentali della riflessione suareziana sull’obbligo politico sono: 1) la necessità che la legge e l’autorità abbiano condizioni e requisiti per poter essere giuste e dunque obbligatorie; 2) la necessità che i sudditi adempiano il dovere sancito dalla legge. Secondo la nostra autrice, tre sono livelli della dottrina suareziana dell’obbligo. Innanzi tutto il livello analitico-medievale: il problema risiede nella distinzione fra aspetti privati e pubblici dell’obbligazione; il livello sintetico: una concezione morale e organica, ove prevale l’aspetto del corpus mysticum politicum; il problema consiste nel modo in cui incorporare sotto una prospettiva etico-teologica tutti gli elementi positivi dell’obbligazione; ed infine il livello giuspubblicistico: l’analisi giuridico-positiva e sociologica della strutturazione dell’obbligazione.

[86]  Cfr. Ibidem, pp. 56 e ss. Secondo la lettura di Lorella Cedroni, i vincoli dell’obbligazione politica (coniunctio inter civem et rempublicam suam; coniunctio inter resppublicas; coniunctio inter civem et aliquam rempublicam), anche secondo Suarez, sono riconducibili alla giustizia commutativa, nel senso che l’obbligazione non si riduce ad una semplice obbedienza, ma richiama complesse forme di giustizia pubblica collettiva e sta in ciò la naturalità dell’obbligazione. La differenza sostanziale col Nazari, sussiste nel fatto che lo stato naturale è solo ipotetico, infatti non sarebbe pensabile che la multitudo sia priva di quella grazia che la ordina.

[87]  Rispetto alla complessa tematica del dono, a titolo introduttivo, mi permetto di rinviare a N. Demon Zavis, Il dono. Vita familiare e relazioni pubbliche nella Francia del Cinquecento, Milano 2002, soprattutto pp. 11-61, 132-161. Sarebbe anche interessante constatare negli scritti del Nazari – se ve ne fosse il tempo – la modalità dell’utilizzo del tipico vocabolario tommasiano della communicatio per poter così verificare in che modo questa ricorrente menzione alla propinquitas, secondo il senso che abbiamo cercato di evidenziare, possa rimandare alla riflessione sulla virtù teologale della carità.

[88]  Rinvio alla chiara e sintetica descrizione del concetto di secolarizzazione proposta da F. Todescan, Metodo Diritto Politica. Lezioni di storia del pensiero giuridico, Bologna 1998, pp. 91-93. Cfr. anche J.-F. Courtine, «L’héritage scolastique dans la problématique théologico-politique de l’age classique», in H. Méchoulan (a cura di), L’Etat baroque. Regards sur la pensée politique de la France du premier XVII siècle, Paris 1985, pp. 91-118, riguardo al tema della teologizzazione, come variante della secolarizzazione, si veda specialmente pp. 96 e ss. ; M.-F. Renoux-zagame, «Théologie sacerdotale contre théologie séculière», in Y.-C. Zarka (a cura di), Aspects de la pensée médiévale dans la philosophie politique moderne, op. cit., pp. 127-154, contributo, quello di Renoux-Zagamé, che diverrà il primo capitolo della seconda sezione della seconda parte del testo M.-F. Renoux-zagame, Du droit de Dieu au droit de l’homme, Paris 2003, pp. 246-269.