01
NOV
2018

Redemption-II. In-depth: “Non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo”. Esegesi di Mt 5, 25-26 e origini dell’idea di purgatorio (Milena Mariani)

Abstract

“You will not be released until you have paid the last penny”. Exegesis of Mt: 5, 25-26 and origins of the idea of ​​purgatory

Since the publication of J. Le Goff’s highly successful The Birth of Purgatory, in 1981, much research has been done, from various historical perspectives, on the doctrine of purgatory. Greater attention has also been paid to – on the one hand – current secularized forms of the idea and – on the other – the steady spread of belief in reincarnation in the West. In this paper I investigate texts by scholars writing in the early decades of the 3rd century AD – Tertullian, in particular – with the aim of demonstrating how the Christian imaginary of “purgatory” in the hereafter, which developed gradually, influenced by Jewish and Graeco-Roman models/ideas/beliefs, and driven by the necessities of pastoral discipline, was, from the beginning, characterized by the adoption of juridical categories and influenced by the system of sanctions used at the time for punishing insolvent debtors.

«NON USCIRAI DI LÀ FINCHÉ NON AVRAI PAGATO FINO ALL’ULTIMO SPICCIOLO». Esegesi di Mt 5,25-26 e origini dell’idea di purgatorio

Mi addentro con questo mio contributo in quella «zona grigia» o «zona di penombra» che Peter Brown vede profilarsi intorno all’epoca di Cipriano, ma «presente perfino – scrive – nel mondo aspro e severo di Tertulliano»: si tratta di quell’interim nel quale è relegato «l’enorme e silenzioso numero» delle «anime cristiane che nell’attesa della Resurrezione godevano il refrigerium del mondo ultraterreno», «zona grigia» perché collocata «tra il bianco sfolgorante dei martiri e il nero corvino della stragrande maggioranza dei pagani ‘empi’»[1]. Tale area nei secoli successivi «divenne sempre più ampia, fino ad assumere i contorni di un intero mondo, di un aldilà abitato dalle anime dei comuni cristiani», rispetto al quale non solo si continuò a riconoscere che i vivi potessero fare qualcosa mediante le preghiere in suffragio e la celebrazione dell’Eucaristia, ma che, anzi, potessero fare tanto di più quanto più fossero dotati di ricchezze[2].

Questa è dunque la «zona di penombra» della quale si occupa il mio contributo, che considererà in particolare l’apporto di Tertulliano alla sua primitiva delineazione. Il riferimento ai primi secoli sottende il fatto che si vuol superare il dichiarato “nominalismo” di Jacques Le Goff nel suo pur sempre ineludibile saggio La naissance du Purgatoire, secondo cui si avrebbe propriamente il purgatorio quale “terzo luogo” dell’aldilà solo quando compare il sostantivo purgatorium e dunque tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo[3]. La preferenza per Tertulliano è, invece, suggerita dalla curvatura che si vuol dare a questo contributo: si intende infatti mostrare quanto il lessico e le categorie giuridiche che innervano l’intera sua teologia giochino un ruolo decisivo anche nell’immaginazione incipiente di tale “terzo luogo”.

  1. Il carcere tra aldiquà e aldilà nei testimonia scritturistici

Presupponiamo dunque che l’idea di purgatorio abbia conosciuto una lunga gestazione, con passaggi non sempre chiari e con prestiti evidenti nei confronti di rappresentazioni greco-romane e giudaiche dell’aldilà.[4] Si tratta altresì di una gestazione nella quale certamente, soprattutto nei primi secoli, ebbero grande rilevanza, da un lato, pratiche cultuali diffuse quali le preghiere per i defunti e i refrigeria sulle loro tombe e, dall’altro lato, le interpretazioni di alcune pericopi o versetti scritturistici (che rientrarono poi tra i loci scritturistici probanti della dottrina configuratasi in epoca medievale)[5].

Il più commentato di questi testi è 1Cor 3,11-15, da cui si ricavò l’immaginario del fuoco quale pena “purgatoria”[6], ma si avvicinano maggiormente all’oggetto specifico di questa ricerca altri riferimenti biblici.

Il primo è costituito da Mt 18,21-35, la cui intenzione è manifestamente quella di invitare al perdono in questa vita, avendolo a propria volta ricevuto e per debiti ben più gravi. Quanto al contenuto, dunque, la parabola si può accostare all’invocazione del Padre nostro in Mt 6,12 (cfr. Lc 11,4). La trama è nota, ma meritano attenzione alcuni dettagli che richiamano l’apparato sanzionatorio in uso nei confronti dei debitori insolventi. Tre le scene: nella prima, il basileus (o kyrios) vuole regolare i conti con i servi e di fronte al servo che gli è debitore di una somma esorbitante ordina dapprima che «fosse venduto [prathēnai] lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse [apodothēnai] il debito», ma poi, mosso a compassione, condona l’ingente debito; nella seconda scena, il servo non fa altrettanto con un compagno (syndoulos) che gli deve una piccola somma e lo fa gettare in prigione (eis phylakēn) fino al saldo del debito; infine, il padrone si sdegna e consegna il servo privo di pietà «agli aguzzini [tois basanistais], finché non avesse restituito il dovuto [opheilomenon]».[7] L’entità del debito non onorato comporta dunque, nel sistema giuridico che la parabola evoca, sanzioni diverse che vanno dalla riduzione in schiavitù dell’intero nucleo familiare alla detenzione in carcere fino al totale pagamento del debito.

Il secondo riferimento è costituito da 1Pt 3,18-19: «Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito [pneumati] andò a portare l’annuncio anche agli spiriti prigionieri [tois en phylakēi pneumasin]».[8]

Un elemento lessicale si rivela decisivo non solo per chiarire il legame di questi testi fra loro, ma anche per comprendere l’interpretazione escatologica del logion di Mt 5,25-26. Si tratta del termine phylakē, che con il significato di “vigilanza notturna”, “turno di guardia” si ritrova talora in contesti escatologici (ad es. Mt 24,43 e Mc 13,33-37) e con il significato di “carcere” può indicare l’Ade (hāidēs)[9]; quest’ultimo è luogo distinto dalla geenna (o «stagno di fuoco») perché destinato a una detenzione di durata limitata, come risulta da 1Pt 3,18-19, testé citato, e da Ap 20,7-15, là dove si racconta della liberazione di Satana «dal suo carcere» [ek tēs phylakēs autou], dopo i mille anni di reclusione, e del giudizio poi riservato alle nazioni: «Il mare restituì i morti che esso custodiva, la Morte e l’Ade resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la Morte e l’Ade furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco [hē limnē tou puros]. E chi non risulta scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco»[10].

  1. L’esegesi di Mt 5,25-26 da Ireneo a Tertulliano

Di phylakē parla anche Mt 5,25-26, nel contesto del cosiddetto “discorso della montagna”: «Mettiti d’accordo [isthi eunoōn] presto con il tuo avversario mentre se in cammino con lui, perché l’avversario [antidikos] non ti consegni al giudice e il giudice [kritēs] alla guardia [hypēretēi] e tu venga gettato in prigione [eis phylakēn]. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo [ton eschaton kodrantēn]». Nel passo parallelo in Lc 12,57-58 compare una variante meritevole di attenzione: al posto della guardia (o usciere del tribunale), figura coerente con la procedura rabbinica immaginata da Matteo, compare il praktōr, cioè l’ufficiale giudiziario che si occupa dei debitori morosi secondo la procedura romana rappresentata da Luca[11].

Tertulliano pare essere il primo a trasferire chiaramente questa scena di ordinaria insolvenza dall’aldiquà all’aldilà, all’inizio del III secolo. Prima di lui troviamo la citazione dei versetti matteani nella Didaché, secondo cui il carcere è destinato a chi ha preso in prestito senza averne reale necessità.[12] La testimonianza di Tertulliano risulta ancor più interessante a motivo della sensibilità giuridica dell’Africano, a lungo identificato con l’omonimo giurista del Digesto. Un esame attento dei testi tertullianei a tal proposito evidenzierebbe non poche approssimazioni e improprietà di linguaggio[13]. Resta vero tuttavia – ed è il dato più significativo per noi – che il vocabolario utilizzato reca una forte impronta giuridica e che ciò si verifica anche nel caso dell’esegesi del logion di Matteo.

Mi soffermo in primo luogo sul cap. 35 del De anima. La singolarità dell’interpretazione di Tertulliano si lascia immediatamente apprezzare se la si confronta con quanto scrive Ireneo di Lione, la cui presentazione dello gnostico Carpocrate nel libro I dell’Adversus haereses costituisce il punto d’avvio del nostro autore. A detta di Ireneo, Carpocrate e i suoi discepoli affermerebbero la metempsicosi appellandosi al passo matteano; scrive infatti Ireneo:

 

«Si sono scatenati a un tale grado di follia, che arrivano ad affermare di avere in loro potere e di essere autorizzati a fare tutte le cose più irreligiose ed empie. Infatti sostengono che le azioni malvagie e buone derivano unicamente dalle opinioni umane. Ed è necessario che le anime, seguendo la trasmigrazione in corpi successivi, si trovino in ogni tipo di vita e in ogni genere di azione, a meno che impegnandosi uno non riesca a compiere, in una sola vita, tutte queste azioni, che non solo non ci è permesso di dire e di ascoltare, ma nemmeno di farcele passare per la mente […] Spieghiamolo in altro modo: devono fare in modo che non accada che, per il fatto che manca qualcosa alla loro libertà, siano costrette a ritornare in un corpo. Ecco perché – dichiarano – Gesù ha detto questa parabola: Mentre cammini con il tuo avversario, fa’ in modo di accordarti con lui [da operam ut libereris ab eo], perché non ti trascini davanti al giudice, e il giudice non ti consegni all’esecutore e questi non ti getti in prigione. In verità ti dico, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo [novissimum quadrantem].  Essi interpretano l’avversario come uno degli angeli che sono nel mondo, colui che chiamano il diavolo [diabolum], affermando che è stato creato per condurre le anime di coloro che sono morti, da questo mondo all’Arconte [in principem]. Dicono che costui è il primo degli autori del mondo [primum ex mundi fabricatorum]; egli consegna tali anime ad un altro angelo, che è il suo ministro [angelo qui ministrat], affinché le chiuda in un altro corpo: infatti essi dicono che il corpo è una prigione. Quanto alla parola: Non ne uscirai finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo, essi la interpretano affermando che non si uscirà dal potere degli angeli che hanno creato il mondo, ma si viene sempre trasferiti da un corpo all’altro [trascorporatum semper], fino a quando non si siano compiute assolutamente tutte le azioni che si fanno in questo mondo»[14].

 

Solo quando all’anima non mancherà più alcuna azione, buona e cattiva, e dunque solo dopo che avrà «pagato fino all’ultimo spicciolo», essa sarà finalmente libera da qualsivoglia corpo/prigione e «ascenderà verso quel Dio che è al di sopra degli angeli autori del mondo».

Tertulliano riassume fedelmente la presentazione di Ireneo, per poi ironizzare su una tale anima «debitrix» di ogni delitto e suggerire mordacemente che l’«inimicus et adversarius» dovrebbe in questo caso interpretarsi come un’entità spirituale che indirizzi l’anima, reincorporandola, «in aliquid innocentiae» fino all’acquisizione della completa innocenza[15].

Dal canto suo l’Africano contrappone due diverse interpretazioni del passo[16]. Nella prima – «simpliciter», cioè letteralmente[17] – spiega che l’adversarius è il pagano (ethnicus homo) con cui si condivide la via della vita e che non bisogna provocare «aliquo commercio negotiorum iniuria» per non essere consegnati «ad suum iudicem» e di qui «ad custodiam» fino all’estinzione totale del debito. La seconda interpretazione scivola invece in direzione escatologica partendo da un diverso significato assegnato all’adversarius e alla giurisdizione implicata. In questo caso sarebbe il diavolo lo scomodo compagno di viaggio, pronto ad accusare davanti a Dio colui che trasgredisce il patto stabilito all’atto del battesimo, vale a dire l’impegno a rinunciare a lui (diavolo), alle sue pompe ed ai suoi angeli. Se il battezzato riprende ciò a cui ha rinunciato dovrà quindi comparire davanti a Dio giudice come «frodatore e trasgressore del patto», sarà consegnato «angelo executionis» e finirà «in carcerem […] infernum» pagando anche il più piccolo delitto «mora resurrectionis», cioè con il ritardo della resurrezione.

Ci concentriamo su questa seconda interpretazione. In filigrana si scorge, anzitutto, Ap 12,10: la scena di Apocalisse rappresenta la lotta in cielo tra la donna e il diavolo/Satana, il quale è l’«accusatore dei [nostri] fratelli». Il vocabolo (katēgōr) è usato qui nell’accezione giuridica di “accusatore davanti al tribunale” di Dio (in questa veste il diavolo è presentato anche nel Primo Testamento, ad es. Gb 1, 6ss, e in altre fonti giudaiche)[18]. In Tertulliano diventa il «criminator» dei santi, cioè dei battezzati, ovvero il «delator» (sarebbe questo il significato di diabolus)[19].

Lo sfondo apocalittico si estende anche al «mora resurrectionis», che allude verosimilmente ad Ap 20,1-6, in particolare là dove si dice che i martiri «ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni». Tertulliano sostiene una concezione millenaristica sin da prima della sua adesione al montanismo o “nuova profezia”, movimento carismatico apocalittico e rigorista originario della Frigia, adesione che si compie in anni prossimi al De anima[20].

Se questa interpretazione vale per «mora resurrectionis», sarebbe indicato in questo modo il termine entro cui il debito deve essere saldato; e dunque si chiarirebbe di quale tempo si parli qui, da un lato, e si comprenderebbero meglio, dall’altro, i tentativi di quantificare il “tempo purgatorio” individuale laddove non ci si collochi in una prospettiva millenaristica.

Il lessico giuridico usato per illustrare l’accordo con il diavolo presenta non poche imprecisioni: conventio, sponsio, pactum, pacisci e convenire sono utilizzati alla stregua di sinonimi, mentre andrebbero formalmente distinti[21]. In ogni caso, non compare nulla che rimandi alla teoria dei “diritti del diavolo”, che s’affaccerà invece poco dopo con Origene e sarà sviluppata da Agostino, secondo cui saremmo stati venduti al demonio, il quale avrebbe preteso come riscatto il sangue del Figlio; teoria che conoscerà molte rivisitazioni medievali, innescando peraltro quel dibattito che, partendo dalla domanda a chi sia pagato il prezzo e indicando in Dio il creditore, condurrà alla teoria della satisfactio[22].

Nella sua esegesi di Mt 5,26 Tertulliano non si pone questo interrogativo. Per quanto attratto dalle categorie giuridiche, si mantiene in questo senso entro i contorni della parabola, lasciando tuttavia nel lettore almeno due domande legittime: il prezzo pagato è il solo ritardo della resurrezione oppure c’è una qualche altra pena patita – e quale – nel tempo che separa dalla resurrezione finale? Merita a tal proposito notare che dal punto di vista giuridico la detenzione è già in sé pena, anche in assenza di punizioni corporali di altro genere[23].

  1. Il duplice sequestro

Occorre allargare l’indagine ad altri passi del De anima. Prima di ricordare una seconda citazione dei versetti matteani, è opportuno riferirsi al cap. 55, che fa parte della sezione escatologica del trattato e si apre con una precisazione riguardante la collocazione degli inferi secondo quella che Tertulliano presenta come visione cristiana dell’aldilà:

 

«Quanto a noi non crediamo che gli inferi siano una qualche nuda cavità sotterranea né tanto meno una fogna del mondo a cielo aperto, ma una vasta cavità in una fossa e nelle profondità della terra, una voragine cioè nascosta nelle sue viscere, dato che troviamo scritto che Cristo trascorse tre giorni, morto, nel cuore della terra, ossia in un recesso profondo, interno, nascosto sotto la terra e chiuso al suo interno, anche se collocato al di sopra degli abissi che si trovano ancora sotto»[24].

 

Fino all’avvento futuro di Cristo è in questo «recesso profondo», distinto dagli «abissi» sottostanti[25], che debbono soggiornare tutti i morti, con la sola eccezione dei martiri, che vengono accolti nella «regione del paradiso» rivelata al veggente di Apocalisse (Ap 6.9) e anticipata in visione alla «fortissima martyr» Perpetua; solo i martiri sono dunque accolti in «alio et privato… hospitio», mentre ogni altra anima «viene tenuta in pegno [sequestrari] presso gli inferi in attesa del giorno del Signore»[26].

Due brevi annotazioni a commento immediato di questo capitolo. In primo luogo, si ha conferma dell’autorevolezza della Passio Perpetuae et Felicitatis, di poco anteriore al De anima e proveniente dalla stessa area geografica. Accanto alla visione del paradiso sopra evocata (non di Perpetua, ma di Saturo)[27], occorre ricordare la duplice visione avuta da Perpetua di Dinocrate, il fratellino morto che appare dapprima segnato dalla terribile e letale piaga in volto, lurido, assetato e poi – dopo le preghiere della donna, prossima al martirio – riappare non più orrendamente sfigurato, pulito, ristorato e ilare[28]. Si possono riconoscere nel racconto, anche a mio giudizio, alcuni elementi di quella che diverrà «l’identità stessa del purgatorio», cioè «il luogo, la pena, il cambiamento», come sottolinea Maria Pia Ciccarese nel saggio significativamente intitolato La nascita del purgatorio[29]. Importa qui notare che in ogni caso la Passio citata non è estranea alla riflessione sul post mortem sviluppata da Tertulliano in relazione alle sorti differenti riservate ai martiri e agli altri defunti, per alcuni dei quali la preghiera di intercessione dei vivi, tanto più se incamminati verso il martirio, si rivela evidentemente preziosa ed efficace.

La seconda annotazione concerne il verbo sequestrari: il vocabolo è nuovamente giuridico e si riferisce al deposito temporaneo di un oggetto conteso presso un garante. Nel capitolo in esame, centrato sulla discesa di Cristo agli inferi, potrebbe trattarsi di un interessante riscontro cristologico. Tertulliano infatti preferisce sequester a mediator nella traduzione di 1Tm 2,5 («Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore [mesitēs] fra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo»), come si legge nel De carnis resurrectione, di poco posteriore al De anima:

 

«Questo Gesù, definito depositario di Dio e degli uomini [sequester Dei atque hominum appellatus] in seguito al deposito che gli è stato affidato da entrambe le parti, conserva in se stesso anche il deposito della carne [carnis quoque depositum], come pegno di tutto quanto il complesso di essa [arrabonem summae totius[30].

 

La carne dovrà infatti essere trasformata all’atto della resurrezione finale, ma «cum salute substantiae», salvandone cioè la sostanza[31], perché sia la stessa carne a risorgere, ormai sanata e redenta[32]. La scelta lessicale di Tertulliano è del tutto singolare, dal momento che non risultano corrispondenze né nella Vetus latina né nella Vulgata[33]. Il riscontro fa sì che non vada trascurato il sequestrari poco sopra incontrato, che potrebbe alludere all’estensione della funzione mediatrice di Cristo negli inferi. Segnalo nel contempo che altri vocaboli dalla chiara valenza giuridica sono abitualmente utilizzati dall’Africano per esprimere il ruolo salvifico di Cristo: spiccano manumittere, preferito al più generico liberare, accanto a emere, comparare e al più frequente redimere[34].

  1. Luoghi dell’aldilà

Riprendiamo ora a inseguire l’esegesi di Mt 5,25-26 nel De anima, portandoci alla conclusione del trattato. Il cap. 58 precisa in apertura quanto abbiamo visto emergere fin qui. Rivolgendosi a un interlocutore fittizio scrive Tertulliano:

 

«”Ogni anima dunque – tu dici – si trova presso gli inferi?”. Certo, che tu lo voglia o no, e in quel luogo prova supplizi e consolazioni [supplicia iam illic et refrigeria]: hai già l’esempio del povero e del ricco»[35].

 

L’allusione concerne la parabola evangelica del ricco epulone e del povero Lazzaro, il primo finito nell’Ade tormentato dal fuoco e l’altro portato da angeli nel «seno di Abramo» (cfr. Lc 16,19-31)[36].

Si profila dunque, se si aggiunge il paradiso dei martiri, una tripartizione dei luoghi dell’aldilà. E tuttavia, rispetto all’immaginario poi consolidatosi, il luogo che dovrebbe corrispondere al successivo purgatorio risulterebbe qui luogo di consolazioni, quell’interim refrigerium disegnato da Tertulliano già nell’Adversus Marcionem:

 

«Ordunque, io intendo come seno di Abramo una regione che, sebbene non sia nel cielo, è però pur sempre più in alto degli inferi [etsi non caelestem, sublimiorem tamen inferis]; essa offre nel frattempo un conforto [interim refrigerium] alle anime dei giusti, finché la consumazione dell’universo non attui la risurrezione universale portando la pienezza della ricompensa, allorché sarà manifesta la promessa di Dio»[37].

 

A mio giudizio, è proprio la ripresa conclusiva di Mt 5,26 a gettare ulteriore luce sulla natura di quest’altro luogo secondo l’Africano:

 

«Insomma, quando noi identifichiamo con gli inferi il carcere che il Vangelo mostra chiaramente e interpretiamo l’ultimo spicciolo in riferimento al fatto che lì si dovrà scontare [luendum] anche il più piccolo peccato con il rinvio della resurrezione, nessuno dubiterà del fatto che l’anima ripaghi qualcosa negli inferi [aliquid pensare penes inferos], fatta salva la pienezza della resurrezione che dovrà avvenire anche tramite la carne»[38].

 

A meno di immaginare una quadripartizione di luoghi, “sommando” le differenti rappresentazioni di Tertulliano (paradiso eterno per i soli martiri, inferno eterno per i dannati, interim refrigerium coincidente con il sinus Abrahae, luogo di pena «collocato al di sopra degli abissi»)[39], sembra lecito qui  interpretare il pagamento del debito come progressiva riduzione della pena e, in questo senso, come sopravvenire del refrigerium, senza che sia implicato necessariamente un cambiamento di luogo che accompagni il cambiamento di condizione[40] . Se riprendiamo in parallelo il racconto riguardante il piccolo Dinocrate nella Passio Perpetuae e Felicitatis, ritroviamo la medesima transizione dalla sofferenza penosa (cfr. «laborare») al sollievo (cfr. «refrigerantem») senza che l’ambientazione cambi nelle due visioni della sorella: nella prima visione, il fanciullo esce all’esterno «de loco tenebroso» ed è lurido, segnato dall’orrenda piaga in viso, penosamente ridotto alla sete in presenza di una vasca d’acqua troppo alta per la sua statura; nella seconda visione riappare nello stesso luogo (cfr. «locum illum quem retro videram») e tuttavia è lindo, finalmente guarito e abbeverato a quella stessa vasca («piscinam illam, quam retro videram») divenuta ora accessibile per lui[41].

L’interpretazione della parabola matteana pare condurre Tertulliano nella medesima direzione[42], rafforzando a mio giudizio la sua importanza nella genesi dell’idea di purgatorio in area latina. Alla luce dei testi esaminati appare sbrigativa la conclusione tratta da Jacques Le Goff: «Tra il refrigerium interim di Tertulliano e il Purgatorio la differenza non è soltanto di natura – qui una riposante attesa, là una prova che purifica in quanto punitiva ed espiatrice -, ma di durata: il refrigerium ospita sino alla resurrezione, il Purgatorio soltanto sino al termine dell’espiazione». Il rapporto tra luogo di espiazione e refrigerium interim, se traguardato mediante l’esegesi proposta del passo evangelico e lo strumentario giuridico di cui s’avvale l’autore, risulta ben più intrinseco di quanto Le Goff sia disposto ad ammettere. Di contro, attribuisce a Tertulliano con il De anima «il passo verso un vero e proprio purgatorium» Joseph Ratzinger in Eschatologie – Tod und ewiges Leben, sottolineando anzitutto la necessità di comprendere la «struttura del concetto» e la «graduale combinazione storica dei suoi elementi» e valorizzando anch’egli l’interpretazione del logion matteano, senza però cogliere appieno, a mio giudizio, l’importanza decisiva dei riferimenti giuridici nell’originaria strutturazione del concetto stesso.[43] Importanza che va rilevata tanto più quanto più si abbia presente il successivo slittamento nella direzione sia delle dottrine dei diritti del demonio e della satisfactio sia della quantificazione degli “anni di purgatorio” e dell’“acquisto” di indulgenze[44].

Non posso esimermi dall’accennare brevemente a due passaggi del De carnis resurrectione. Nel primo si ritorna alla citazione di Mt 5, 26, là dove Tertulliano, commentando 1Cor 15,51ss. («i morti risorgeranno e noi [gli ancora vivi nel momento della resurrezione finale] saremo mutati»), aggiunge:

 

«Chi, infatti, non desidererà di indossare su di sé l’immortalità mentre è ancora nella carne e di continuare la vita dopo aver approfittato della morte per mezzo di un mutamento che sostituisce la morte stessa [lucrifacta morte per vicariam demutationem], per non dover far la prova degli inferi, ove dovrà pagare fino all’ultimo centesimo? Del resto dovrà avere questo mutamento anche dopo la resurrezione, dopo aver già fatto esperienza degli inferi. A partire da questo punto, infatti, noi affermiamo che la carne è destinata a risorgere in ogni modo, e che, in seguito al mutamento di natura che verrà sopra di lei, dovrà accogliere in sé l’aspetto angelico»[45].

 

L’altra citazione, riassuntiva di ben più ampie argomentazioni dell’autore, è tratta dal cap. 17 del De carnis resurrectione:

 

«Noi… dichiariamo che l’anima è corporea, e l’abbiamo già dimostrato nel volume a lei dedicato [De anima, sezione I], e che ha un suo genere particolare di sostanza e di solidità, grazie alle quali è in gradi di sentire e di patire [et sentire et pati]; infatti, che anche ora le anime siano tormentate e consolate negli inferi, per quanto nude [licet nudas], per quanto ancora esiliate dalla carne, lo dimostra l’esempio di Lazzaro»[46].

 

Quest’ultima citazione aggiunge realismo, per così dire, alle pene e alle gioie della detenzione. La condizione del carcere, così come quella di schiavitù, richiede un corpo o una sostanza corporea, come in questo caso, perché vi possano essere reclusione, patimento e refrigerium[47].

Da ultimo, sulla scia della citazione di Mt 5,25-26, vorrei dedicare almeno un cenno a un testo non più di Tertulliano, bensì di Cipriano, della stessa area geografica e vicino nel tempo al nostro autore. Si tratta della nota Lettera 55 ad Antoniano, datata 251-252, là dove nel contesto della grave questione dei lapsi (chiedere loro penitenza in vista della riconciliazione con la comunità o escluderli?) si affaccia nuovamente l’interpretazione di Mt 5,26:

 

«E non credere, carissimo fratello, che la virtù dei fratelli diminuisca o che vengano meno i martirii per il fatto che viene estesa con più larghezza ai lapsi e offerta ai penitenti la speranza della pace [spes pacis]. Resta immobile la forza di quelli che credono e presso coloro che temono e  amano con tutto il cuore Dio l’integrità rimane stabile e forte […] Una cosa è attendere il perdono, un’altra giungere alla gloria; una cosa che chi è stato mandato in carcere non ne esca finché non paghi fino all’ultimo spicciolo, un’altra ricevere subito la ricompensa per la fede e la virtù; una cosa essere emendato e purgato a lungo dal fuoco [emundari et purgari diu igne] dopo aver patito un dolore prolungato per i peccati, un’altra aver purgato [purgasse] tutti i peccati con il martirio; infine, una cosa è attendere nel giorno del giudizio la sentenza del Signore, un’altra essere subito incoronato da Dio»[48].

 

Non sfugge che vi sono continuità e novità rispetto alla rappresentazione di Tertulliano. La condizione del martire emerge in tutta la sua differenza rispetto a quella del penitente, soprattutto in quella proiezione escatologica che viene evocata: gloria, ricompensa, corona spettano subito al martire; attesa, carcere, correzione e purificazione con il fuoco sono la sorte del peccatore penitente. Si introduce l’idea di un fuoco purificatore e non semplicemente distruttore, non nuova alla luce di AT e NT (si veda il già citato 1Cor 3,11-15); compaiono anche emundare e purgare. Il carcere ultraterreno consente di prolungare post mortem la penitenza, allargando dunque la «speranza della pace» anche per peccatori colpevoli di gravi delitti[49].

L’apparato di figure e il lessico che diverranno più tardi consueti si vanno così componendo in area latina. Le fonti delle immagini e le motivazioni che ne sorreggono gli sviluppi sono di varia natura, come risulta evidente persino dal semplice accostamento delle testimonianze di Tertulliano e Cipriano. Se infatti in quest’ultimo è innegabilmente la preoccupazione ecclesiale ed ecclesiologica a promuovere ulteriori riflessioni sulla sorte post mortem, in Tertulliano si evidenzia un’interessante crocevia di impulsi diversi che inducono l’inquieto pensatore a rielaborare concezioni dell’aldilà receptae, greco-romane e giudaiche, tramite gli strumenti acquisiti grazie agli studi retorici e giuridici e applicati all’esegesi biblica. Tra gli impulsi vanno certamente menzionati il confronto con lo gnosticismo (e la sua svalutazione della “carne”) e le inclinazioni millenaristiche che ancora serpeggiano agli inizi del III secolo, mentre si avvicinano «tempi post-apocalittici», più attenti agli interrogativi sui destini individuali[50]. In questo contesto, ricco di stimoli e di contraddizioni, segnato da persecuzioni violente, si esercitano la spiritualità e l’intelligenza tormentata di Tertulliano, innovatore e per molti tratti inventore del linguaggio teologico.

Conclusione

A questa ricognizione di alcune fonti del III secolo aggiungo una breve considerazione conclusiva.

La domanda che soggiace a questi e ad altri tentativi di delineare la concezione cristiana dell’aldilà ha chiaramente al centro la questione della redenzione. Il profilarsi dell’idea di un luogo deputato alla purificazione o alla purgazione post mortem è conseguenza, tra altre cause e almeno per quanto riguarda questi primi testimoni, dell’interrogativo sulla sorte dei non-martiri, siano essi peccatori pubblicamente riconosciuti e pentiti (i lapsi) oppure cristiani medi (non del tutto buoni e non del tutto cattivi, dirà  Agostino). La polarizzazione che vede da un lato i certamente redenti e dall’altro i redenti «come attraverso il fuoco» caratterizza l’autocoscienza della Chiesa dei primi secoli, bagnata dal sangue dei martiri e tuttavia consapevole del fatto che il martirio non è esperienza di tutti e per tutti.

Le testimonianze di Tertulliano e di Cipriano si situano entro questa polarizzazione, con accenti diversi e differente complessità, producendo un interessante riconfigurazione dell’aldilà in cui trova embrionalmente posto un “terzo luogo” per la permanenza a tempo di taluni defunti.  Per entrambi esso coincide con la possibilità di un ulteriore mutamento e di un ulteriore perdono[51]. Prende figura, insomma, quell’estensione della redenzione agli inferi che 1Pt 3,18-19 suggeriva mediante l’immagine della discesa nel «carcere» del Redentore; da parte sua – nella visione di Tertulliano – l’anima, «sequestrata» negli inferi in attesa di riavere da Cristo la carne interamente trasformata mediante la resurrezione, passa dalla pena alla consolazione consumando il proprio debito, se il tempo della vita terrena non fosse stato sufficiente per guadagnare la salvezza.

Se ci si proietta nel compimento finale così com’è inteso dall’Africano, pare allora di poter dire che è proprio la rivelazione cristologica, in definitiva, a guidare la nuova interpretazione (cristiana) anche dell’aldilà. Un aldilà che si ristruttura per dar conto delle affermazioni bibliche e far spazio a un’ulteriore, estrema speranza, nella quale anche la comunione tra i vivi e i morti gioca un ruolo, come si intravede già in queste prime testimonianze esaminate, in particolare nella Passio Perpetuae et Felicitatis più volte ricordata: i vivi possono aiutare i defunti con le loro preghiere; sogni e visioni possono compensare la non evidenza terrena di chi è rinchiuso nel carcere ultraterreno.

Com’è noto, gli sviluppi successivi vedranno crescere a dismisura questi scambi tra aldiquà e aldilà, che non assumeranno più soltanto un vocabolario giuridico-commerciale, ma verranno praticati in alcuni casi secondo modalità spiccatamente mercantili, come accadde per la vendita delle indulgenze o per l’utilizzo delle messe in suffragio dei defunti (la cui intentio originaria – merita notarlo – è di nuovo riportare all’unica mediazione redentiva di Cristo le varie forme di aiuto prestate dai vivi ai morti)[52].  Il purgatorio sarà in non pochi momenti al centro di questi scambi e delle relative tensioni, spesso minacciosamente brandito anziché misericordiosamente aperto[53].

Si tratta di tensioni non ancora risolte, che impegnano dunque a non abbandonare la riflessione sul purgatorio, argomento non certo desueto né dal punto di vista della teologia sistematica e del dialogo interconfessionale né in una prospettiva più ampiamente culturale e religiosa. Se è vero, infatti, che dal secolo scorso si può agevolmente riscontrare un cambiamento notevole di sensibilità al riguardo e che è compito della teologia continuare ad affrontare il necessario «purgatoire du purgatoire» (Y. Congar)[54], è altrettanto vero che tracce di purgatorio “persistono” tenacemente in forme secolarizzate[55] e che dottrine della reincarnazione riconquistano terreno nel clima culturale e spirituale dell’Occidente odierno[56]. A tale riguardo viene da dire che la teologia non se ne uscirà se non pagando fino all’ultimo spicciolo. E dunque tentando di ripensare le realtà escatologiche con la profondità che i tempi richiedono.

[1] P. Brown, The Ransom of the Soul. Afterlife and Wealth in Early Western Christianity, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2015; trad. it. Il riscatto dell’anima. Aldilà e ricchezza nel primo cristianesimo occidentale, Einaudi, Torino 2016, qui pp. 18-19.

[2] Ibi, pp. 19-24.

[3] J. Le Goff, La naissance du Purgatoire, Gallimard, Paris 1981; tr. it. La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 1982 (qui, in particolare, l’Appendice II – “Purgatorium: storia di una parola” alle pp. 414-418). Tra le molte reazioni al lavoro dello storico francese, accolto con unanime interesse, mi limito a ricordare le riserve avanzate da A. H. Bredero, Le Moyen Age et le Purgatoire, in RHE 78(1983), pp. 429-452 (la parte avuta dal XII sec. consisterebbe semplicemente nella «elaborazione teologica di una concezione dell’aldilà» già sviluppata nelle credenze popolari, ma non ancora studiata dalla teologia); da M.P. Ciccarese, La nascita del purgatorio, in ASE 17,1(2000), pp. 133-150 (limite di Le Goff «una sorta di estremismo nominalista», con il «rischio di confondere  “il dogma” del purgatorio – quello sì esattamente databile e formulato in ritardo – con “l’idea” stessa di purgatorio») e da A. Merkt, Before the Birth of Purgatory, in Studia Patristica. Vol. LXIII – Papers presented at the Sixteenth International Conference on Patristic Studies held in Oxford 2011, Peeters, Leuven – Paris – Walpole (MA) 2013, pp. 361-366 (difficile negare che già all’inizio del III secolo, ad Alessandria e nell’Africa del Nord, si avesse «the basic idea of a purifying suffering in the afterlife»).

[4] Cfr. I. Moreira, Heaven’s Purge. Purgatory in Late Antiquity, Oxford University Press, New York 2010; A. Mihai, L’Hadès céleste. Histoire du purgatoire dans l’Antiquité, Classiques, Garnier, Paris 2015; la varietà delle rappresentazioni dell’aldilà nel Medio Giudaismo (dal III a.C. alla fine del II d.C.) emerge all’evidenza in P. Sacchi (ed.), Indice concettuale del Medio Giudaismo 4. Eschata, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 2014. Apprezzabili le sintesi del tema “purgatorio” nei suoi vari aspetti e sviluppi di E. Koch, s.v. Fegfeuer, in Theologische Realenzyklopädie, ed. G. Krause – G.L. Müller, Gruyter, Berlin-New York 1977-2004 (=TRE), vol. XI (1983), pp. 69-78 e di F. Wolfinger – I. Broer – G.L. Müller – E. G. Farrugia – H. Wagner – M. Woelk – W. Hartinger, s.v. Fegfeuer, in Lexikon für Theologie und Kirche, ed. W. Kasper – K. Baumgartner, Herder, Freiburg 1993-2001 (=LTK), vol. 3 (1995), coll.1204-1210.

[5] Per i loci scritturistici più citati si vedano A. Michel, s.v. Purgatoire, in Dictionnaire de théologie catholique, ed. A. Vacant – E. Mangenot – É. Amann, Letouzey et Ané, Paris 1930-‘72 (=DTC), vol. 13/1 (1936), coll. 1170-1179 e H. Vordermayer, Die Lehre vom Purgatorium und die Vollendung des Menschen: Ein moraltheologischer Beitrag zu einem umstrittenen Lehrstück aus der Eschatologie, Tyrolia, Innsbruck 2006, pp. 95-109. Quanto alle auctoritates patristiche in ambito latino si rimanda all’Index de Purgatorio, in Patrologiae Cursus Completus. Series Latina, ed. J.P. Migne, Paris 1844-55 (=PL), vol. 220, coll. 249-256.

[6] Emblematico l’utilizzo dell’argomento in Agostino: cfr. J. Ntedika, L’évolution de la doctrine du purgatoire chez saint Augustin, Études Augustiniennes, Paris 1966, pp. 18-24.

[7] Di condono di debiti parla anche la breve parabola in Lc 7,40-43. Per il testo greco ci si riferisce a The Greek New Testament, a cura di K. Aland – M. Black – C.M. Martini – B.M. Metzger – A. Wikgren, United Bible Societies 19833; per la traduzione italiana a La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 2009 (con eventuali modifiche segnalate).

[8] Si preferisce tradurre «spiriti» anziché «anime» per coerenza con il precedente «spirito». A questo passo si può accostare 1 Pt 4,6: «Infatti anche ai morti [nekrois] è stata annunciata la buona novella, affinché siano condannati secondo gli uomini [kata anthropous] nella carne [sarki], ma vivano secondo Dio [kata theon] nello spirito [pneumati]» (tr. it. modif.)

[9] Cfr. G. Bertram, s.v. φυλακή, in Grande lessico del Nuovo Testamento, a cura di F. Montagnini-G. Scarpat-O. Soffritti, Paideia, Brescia 1965-92 (=GLNT), vol. 15, coll. 191-194.

[10] Cfr. J. Jeremias, s.v. άδης, in GLNT 1, coll. 393-400; Id., s.v. γέεννα, in GLNT 2, coll. 375-380.

[11] Cfr. C. Maurer, s.v. πράκτωρ, in GLNT 11, coll. 55-56; K.H. Rengstorf, s.v. υπηρέτης, in GLNT 14, coll. 620-632; C. Spicq, Note di lessicografia neotestamentaria, vol. II, Paideia, Brescia 1994, s.v. παραδίδωμι, pp. 288-300; πράκτωρ, pp. 430-439; υπηρέτης, pp. 679-684. La parabola matteana non è ricordata tra i testi rilevanti per la successiva dottrina del Purgatorio da J. Le Goff, che si limita a citare Mt 12,31-32; Lc 16,19-26; 1Cor 3,11-15 (La nascita del Purgatorio, cit., pp. 52-53).

[12] La doctrine des douze Apôtre (Didaché) 1,5 (SC 248 bis): secondo i curatori dell’ed. cit. (W. Rordorf e A. Tuilier), sorprenderebbero in questo passaggio, assente nelle Costituzioni apostoliche e nei documenti derivati, sia l’interpretazione «risolutamente escatologica» del logion (come accadrà poi in Tertulliano, Clemente Alessandrino, Cipriano, Sesto) sia la differenza di contesto rispetto al passo evangelico, dove si parla di remissione del debito e non di indebitamento da evitare (ivi, p. 147 nota 4). Per la verità, quanto alla Didaché non sembra che si possa dare per scontata l’interpretazione escatologica (potrebbe trattarsi di giustizia terrena, e non divina). Per le occorrenze dei vv. citati si veda Biblia Patristica. Index des citations et allusions bibliques dans la littérature patristique I. De origines à Clement d’Alexandrie et Tertullien, Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique, Paris 1975, p. 236.

[13] Di questo parere R. Martini, Tertulliano giurista e Tertulliano padre della Chiesa, in «Studia et documenta historiae et iuris» 41(1975), pp. 78-124. Più cauti J. Gaudemet, Le droit romain dans la littérature chrétienne occidentale du IIIe au Ve siècle (= Ius Romanum Medii Aevi, Pars I,3,b), Giuffrè, Milano 1978, pp. 15-32; A. Lovato, Il carcere nel diritto penale romano. Dai Severi a Giustiniano, Cacucci, Bari 1994, p. 159 nota 179; H.M. Zilling, Tertullian. Untertan Gottes und des Kaisers, Schöningh, Paderborn 2004, pp. 33-36, cfr. pp. 21-82 (T. si sarebbe formato in retorica e diritto e avrebbe esercitato l’avvocatura a Roma prima della conversione e del ritorno in Africa).

[14] Adversus haereses, I 25,4 (SC 264, Paris 1979); tr. it. Ireneo di Lione, Contro le eresie 1. Smascheramento e confutazione della falsa gnosi, Introduzione, traduzione e note a cura di A. Cosentino, Città Nuova, Roma 2009, pp. 159-160. Fa notare A. Orbe (Parábolas evangélicas en San Ireneo, La Editorial Católica, Madrid 1972, t. II, p. 116), segnalando altresì il climax introdotto dallo gnostico Carpocrate tra diavolo, principe e angelo (ivi, nota 51), che Ireneo omette una propria esegesi della parabola, ma è altrove chiaro che veri exactores dell’anima umana sono soltanto il Figlio e lo Spirito e che la potestas definitiva su di essa appartiene a Dio soltanto.

[15] De anima, 35, 1 e 4 (ed. J.H. Waszink, Amsterdam 1947); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, a cura di C. Moreschini e P. Podolak, Città Nuova, Roma 2010, pp. 172-175 (testo lat, a fronte). Ampia la confutazione complessiva della dottrina della metempsicosi: cfr. De anima, 28-35.

[16] De anima, 35, 2-3 (ed. J.H. Waszink, Amsterdam 1947); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., pp. 173.175.

[17] Cfr. J.H. Waszink, Tertullian’s Principles and Methods of Exegesis, in W.R. Schoedel – R. L. Wilken (eds), Early Christian Literature and the Classical Intellectual Tradition. In Honorem Robert M. Grant (= Théologie historique, 53), Beauchesne. Paris 1979, pp. 19-20 (la certezza nell’interpretazione si fonda su concisione e semplicità). La simplicitas si oppone alla curiositas vana, per la quale si veda J.C. Fredouille, Tertullien et la conversion de la culture antique, Études Augustiniennes, Paris 1972, pp. 411-442 (“Curiosité et Conversion”).

[18] F. Büchsel, s.v. κατήγορος, in GLNT 5, coll. 267-270.

[19] Osserva R. Braun che quella offerta da T. sarebbe «une exégèse curieusement juridique» (Approches de Tertullien. Vingt-six ètudes sur l’auteur et sur l’œvre [1955-1990], Institut d’Ėtudes Augustiniennes, Paris 1992, p. 409 nota 16): in realtà, per quanto insolita rispetto ad altri autori, essa è del tutto coerente con le inclinazioni di Tertulliano. Sulla demonologia di T. ivi, pp. 17-18.

[20] Cfr. A.M. Berruto, Millenarismo e montanismo, in ASE 15(1998), pp. 85-100 (per T. pp. 91-97); P. Siniscalco, L’Escatologia di Tertulliano: tra Rivelazione scritturale e dati razionali, «psicologici», naturali, in ASE 17(2000), pp. 73-89, qui pp. 81-89.

[21] R. Martini, Tertulliano giurista e Tertulliano padre della Chiesa, cit., pp. 104-105.

[22] Cfr. la sintesi di R. Ottone, s.v. Redenzione, in Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano 2006, vol. X, pp. 9500-9504. Documentata la ricostruzione del tema, dalle radici patristiche (in particolare Agostino) alle riprese medievali (Pietro Lombardo, Anselmo, Abelardo, Processus Satanae), in B. Pasciuta, Il diavolo e il diritto: il Processus Satanae (XIV sec.), in Centro Italiano di Studi sul Basso Medioevo – Accademia Tudertina, Il diavolo nel Medioevo. Atti del XLIX Convegno storico internazionale (Todi, 14-17 ottobre 2012), Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 2013, pp. 421-447.

[23] Cfr. A. Lonato, Il carcere nel diritto penale romano, cit., pp. 23-24 e passim.

[24] De anima 55,1 (ed. J.H. Waszink, Amsterdam 1947): «Nobis inferi non nuda cavositas sed subdivalis aliqua mundi sentina creduntur, sed in fossa terrae er in alto vastitas et in ipsis visceribus eius abstrusa prufunditas, siquidem Christo in corde terrae triduum mortis legimus expunctum, id est in recessu intimo et interno et in ipsa terra operto et intra ipsam clauso et inferioribus adhuc abyssis superstructo»; tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., p. 231.

[25] Cfr. J. Jeremias, άβυσσος, in GLNT 1, coll. 27-30.

[26] De anima, 55,2-5 (ed. J.H. Waszink, Amsterdam 1947); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., pp. 231.233.

[27] L’errore di persona nell’attribuzione deporrebbe a favore della non paternità tertullianea del testo: cfr. R. Braun, Nouvelles observations linguistiques sur le rédacteur de la “Passio Perpetuae”, in Id., Approches de Tertullien, cit., pp. 287-299 (su De anima si veda p. 287 nota 1).

[28] Passio Perpetuae et Felicitatis, 7,1 – 8,4, in A.A.R. Bastiaensen – A. Hilhorst et alii (edd.), Atti e passioni dei martiri, Fondazione Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori, Roma – Milano 1987, pp. 124-127 (testo lat. a fronte).

[29] Cfr. M.P. Ciccarese, La nascita del Purgatorio, cit., pp. 141-142.

[30] De carnis resurrectione, 51,2 (CCh.SL 2, Turnhout 1954); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., pp. 395.397 (il De carnis resurrectione è noto anche con il titolo De resurrectione mortuorum: per le questioni in proposito cfr. ivi, pp. 259-260). Il termine arrabo impiegato da T. non sarebbe «adoperato dai giuristi classici» secondo R. Martini, Tertulliano giurista e Tertulliano padre della Chiesa, cit., p. 107. Si può ipotizzare che questa precisazione tertullianea, evidentemente densa di motivazioni teologiche, contenga anche l’eco della prassi, a lungo documentata (e attestata anche da Ambrogio), del sequestro del cadavere del debitore insolvente da parte del creditore: si veda a tal proposito G. Purpura, La “sorte” del debitore oltre la morte: Nihil inter mortem distat et sortem (Ambrogio, De Tobia X,36-37), in «Iuris antiqui historia. An International Journal on Ancient Law» 1(2009), pp. 41-60. Osserva tra altro l’A. (ivi, p. 45): «Testimoniando ancora nel I sec. d.C. la persistenza di un’arcaica concezione che collegava il debito al corpo del debitore, San Paolo poteva, senza suscitare sorpresa per l’insolita metafora, dichiarare ai Colossesi: “Cristo […], annullando il chirografo del nostro debito […] lo ha tolto di mezzo, inchiodandolo alla croce”». Sulla dignità della “carne” in T. (in polemica antignostica) e sul legame di carne e anima, garante della «permanenza della realtà individuale» si vedano C. Moreschini, Tertulliano e la salvezza della carne, in G. Bonaccorso – A. Catella et alii, Liturgia e incarnazione, Edizioni Messaggero, Padova 1997, pp. 93-111 e E. Rossin, «Caro salutis cardo». Una promessa di salvezza a partire dalla «carne», ivi, pp. 113-164.

[31] De carnis resurrectione, 55,12 (CCh.SL 2, Turnhout 1954); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., p. 413.

[32] De carnis resurrectione, 47,14 (CCh.SL 2, Turnhout 1954); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., p. 383. Cfr. R. Minnerath, Tertullien: l’anthropologie de la résurrection, in La résurrection chez les Pères (= Cahiers de Biblia Patristica, 7), Université Marc Bloch, Strasbourg 2003, pp. 118ss.

[33] Cfr. R. Braun, Deus Christianorum. Recherches sur le vocabulaire doctrinal de Tertullien, Etudes Augustiniennes, Paris 19772, pp. 512-516.

[34] Ivi, pp. 500-511.

[35] De anima, 58,1 (ed. J.H. Waszink, Amsterdam 1947); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., p. 243 (tr. it. modif.)

[36] La «singolare risonanza sin dall’antichità» della parabola lucana (in eterodossi, scrittori ecclesiastici e in particolare Ireneo) è evidenziata dall’ampia trattazione in A. Orbe, Parábolas evangélicas en San Ireneo, cit., t. II, pp. 314-444 (per T. pp. 337-386, con distinzione tra T. ecclesiastico e T. montanista).

[37] Adversus Marcionem IV 34,13 (SC 456, Paris 2001); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. Contro Marcione Libri IV-V, a cura di C. Moreschini, Città Nuova, Roma 2016, p. 197 (tr. it. modif.).

[38] De anima, 58,8 (ed. J.H. Waszink, Amsterdam 1947); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., p. 147 (tr. it. modif.; non si comprende la traduzione «che l’anima ottenga una ricompensa negli inferi»). Per l’uso di (com)pensare si veda H. Finé, Die Terminologie der Jenseitsvorstellungen bei Tertullian. Eine semasiologischer Beitrag zur Dogmengeschichte des Zwischenzustandes, Peter Hanstein Verlag, Bonn 1958, pp. 99-100. Quanto al carcere come strumento, tra altri, dell’apparato repressivo imperiale contro i cristiani, così com’è descritto altrove da Tertulliano, rimandiamo a A. Lovato, Il carcere nel diritto penale romano, cit., pp. 159-163.

[39] Di questo parere R. Minnerath, Tertullien: l’anthropologie de la résurrection, in La résurrection chez les Pères (= Cahiers de Biblia Patristica, 7), Université Marc Bloch, Strasbourg 2003, p. 128, cfr. pp. 119-133. Resta ovvio che non è facile conciliare affermazioni contenute in opere diverse e, probabilmente, visioni differenti di Tertulliano, che non sembra preoccupato di cadere in contraddizione. Osserva H. Finé nel suo ancora prezioso e accuratissimo studio (Die Terminologie der Jenseitsvorstellungen bei Tertullian, cit., p. 94) che la bipartizione degli inferi che s’affaccia in Lc 16,22 è più temperata rispetto, ad esempio, alla spartizione in almeno quattro luoghi del Libro di Enoch (si vedano per il NT anche le altre cit.: ivi, nota 43) e che Tertulliano, da un lato, non presta molta attenzione ai relativi particolari topografici (con slittamenti semantici evidenti ad es. in relazione al sinus Abrahae), salvo precisare che il luogo dell’attesa si trova in ogni caso nell’intimo della terra, e che, dall’altro lato, è più interessato alla condizione delle anime che non al luogo dove esse si trovano (un’affermazione, questa, solo parzialmente condivisibile)

[40] Per la plausibilità della soluzione rispetto all’istituto romano della redemptio si rimanda al contributo di L. Waelkens in questo volume.

[41] Passio Perpetuae et Felicitatis, 7,1 – 8,4, in A.A.R. Bastiaensen – A. Hilhorst et alii (edd.), Atti e passioni dei martiri, Fondazione Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori, Roma – Milano 1987, pp. 124-127 (testo lat. a fronte).

[42] Di diversa opinione E. Gonzales, The Afterlife in the Passion of Perpetua and in the Works of Tertullian: A Clash of Traditions, in M. Vinzent (ed), Studia Patristica vol. LXV. Papers presented at the Sixteenth International Conference on Patristic Studies held in Oxford 2011, Peeters, Leuven – Paris – Walpole (MA) 2013, pp. 225-238. Secondo Gonzales, l’autore della Passio e Tertulliano rappresenterebbero due diverse tradizioni sull’aldilà, in conflitto tra loro a Cartagine, dal momento che la prima è legata a un cristianesimo popolare e Perpetua si esprime in favore di un aldilà immediato, senza attese, sovversivo rispetto a tutte le gerarchie e ideologie. L’interpretazione appare francamente forzata, tanto più in mancanza di cenni alla visione di Dinocrate e alla luce dell’affermazione secondo cui T. in De anima 55,4 (cfr. supra) «polemically and intentionally misquotes her», cioè Perpetua (ivi, pp. 235-237).

[43] Cfr. J. Ratzinger, Eschatologie – Tod und ewiges Leben, Pustet, Regensburg 2007; tr. it. Escatologia. Morte e vita eterna, edizione rinnovata e ampliata a cura di S. Ubbiali, Cittadella, Assisi 2008, pp. 222-223. Analogo rilievo può essere avanzato nei confronti della ricostruzione di A. Merkt, per quanto egli tracci un percorso e utilizzi simili a quelli qui presentati: si veda, in particolare, Id., Fegefeuer. Entstehung und Funktion einer Idee, WBG, Darmstadt 2005.

[44] L’interpretazione non esclude che lo sviluppo medievale di una «aritmetica dell’Aldilà» sia dovuto anche alla «passione aritmetica» diffusa tra XI e XIII secolo e legata a nuove traduzioni delle opere di Euclide in latino: cfr. J. Le Goff, L’attente dans le christianisme: le Purgatoire, in «Communications» 70 (2000), p. 299, cfr. pp. 295-301.

[45] De carnis resurrectione 42,3-4 (CCh.SL 2, Turnhout 1954); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., pp. 367.

[46] De carnis resurrectione 17,2 (CCh.SL 2, Turnhout 1954); tr. it. Tertulliano, Opere dottrinali. L’anima – La resurrezione della carne – Contro Prassea, cit., pp. 305.307 (tr. it. modif.).

[47] Cfr. Isabel Moreira, Heaven’s Purge. Purgatory in late Antiquity, cit., pp. 49-57.

[48] Epistula 55,20,1.3 (CCh.SL 3 B, Turnhout 1994); tr.it. Cipriano vescovo di Cartagine, Lettere 51-81, Città Nuova, Roma 2007, pp. 47.49 (tr. it. modif.). Si può forse leggervi un cenno alle torture comminate ai cristiani in tempo di persecuzione violenta, tra le quali lo stesso Cipriano ricorda altrove il fuoco, oltre a spogliazione di casa e di beni, catene, carcere, fiere: cfr. A. Lovato, Il carcere nel diritto penale romano, cit., pp. 158-159.

[49] L’interpretazione offerta è, a mio giudizio, più coerente con le premesse “misericordiose” di Cipriano rispetto a quella proposta da A. Merkt (Before the Birth of Purgatory, cit. p. 365): «Thus, Cyprian seems to regard purgatory as some aggravated continuation of penance. The penitential discipline of the church, therefore, provides the model of purgatory. Thereby, the ecclesiological relevance of purgatory becomes apparent. The arguments about penance were, first and foremost, all about the church’s self-image. The question was how to combine the reality of sinful Christians and the idealised self-image of a community of saints».

[50] Ivi, pp. 364-365: «You – Tertullian addresses the individual – must go to prison and you will not be released until you have paid for even the smallest misconduct. Purgatory,therefore, is some kind of individual apocalypse».

[51] Evocativo l’esergo scelto da Le Goff per La nascita del Purgatorio, attribuito a Chateaubriand: «Il Purgatorio supera in poesia il cielo e l’inferno, in quanto rappresenta un avvenire del quale entrambi sono privi» (ivi, p. 1). Per gli sviluppi nell’Antichità, da Agostino e Gregorio Magno in poi, e per la successiva “perdita per strada” della sottostante convinzione «du pouvoir impérial de Dieu, et de la grandeur de la miséricorde divine» utile la lettura di P. Brown, Vers la naissance du Purgatoire. Amnistie er pénitence dans le christianisme occidental de l’Antiquité tardive au Haut Moyen Age, in «Annales HSS» 52(1997), pp. 1247-1261. G. Greshake intitola significativamente il capitolo dedicato al purgatorio “Purificazione dopo la morte – il lieto messaggio del ‘purgatorio’” nel suo Leben – stärker als der Tod. Von der christlicher Hoffnung, Herder, Freiburg I.Br. 2008; tr. it. Vita – più forte della morte. Sulla speranza cristiana, Queriniana, Brescia 2009, pp. 152-161.

[52] Cfr. G. Canobbio, Destinati alla beatitudine. Breve trattato sui novissimi, Vita e Pensiero, Milano 202, pp. 91-113.

[53] Sul cristianesimo antico come «religione di condono dei debiti» e sulla successiva, rapida attenuazione di questa che sarebbe «letteralmente la buona notizia» si soffermano, sulla scia di Max Weber e con osservazioni non banali, P. Sloterdijk e T. Macho in Gespräche über Gott, Geist und Geld, Herder, Freiburg i. Br. 20142; tr. it. Il Dio visibile. Le radici religiose del nostro rapporto con il denaro, EDB, Bologna 2016, pp. 90-98.

[54] Di «non pertinence actuelle du purgatoire» e di «brutal changement di sensibilité» scrive H. Bourgeois, s.v. Purgatoire. in G. Mathon – G.-H. Baudry _ E. Thiery (edd.), Catholicisme. Hier aujourd’hui demain, Letouzey et Ané, Paris 1990, col. 304, cfr. 304-313. Sulle ragioni del brusco mutamento interessanti le analisi di G. Cuchet, La crise théologique du Purgatoire (1850-1950), in «Revue d’histoire de l’Église de France» 85 (1999), pp. 333-353 (lo studio approda appunto al «purgatoire du purgatoire» allestito da Y. Congar, confrontando tradizione cattolica e posizioni in ambito protestante e soprattutto ortodosso) e Id., Le crépuscule du purgatoire, Armand Colin, Paris 2005, in particolare pp. 195-237 (si attribuisce la svolta allo «choc de la guerre» e alla domanda sulla sorte dei caduti, osservando altresì nell’ambito della ricerca uno spostamento da questioni legate alla devozione ad altre riguardanti la “giustificazione” del purgatorio). J.E. Thiel (Time, Judgement and competitive spirituality. A Reading of the Development of the doctrine of Purgatory, Theol. Stud. 69[2008], pp. 741-785) spiega «the disappearance of purgatory in contemporary Catholic belief and practice» con il venire meno dopo il Vaticano II di una spiritualità competitiva (tra laici e “asceti”), che presiederebbe invece allo sviluppo e alle fortune della dottrina del purgatorio.

[55] Cfr. R.K. Fenn, The Persistence of Purgatory, Cambridge University Press, Cambridge 1995; R.K. Fenn, – M. Delaporte, Hell as a Residual Category: Possibilities Excluded from the Social System, in R.K. Fenn (ed.), The Blackwell Companipn to Sociology of Religion, Blackwell, Malden – Oxford – Melbourne – Berlin 2001, pp. 336-360 (il rilevo concerne in particolare modelli sociali nordamericani).

[56] Per un confronto tra le due prospettive ci si può riferire a J. Sachs, Risurrezione o reincarnazione? La dottrina cristiana sul purgatorio, in «Concilium» 29 (1993), pp. 114-122; M. Kehl, Und was kommt nach dem Ende? Von Weltuntergang und Vollendung, Wiedergeburt und Auferstehung, Herder, Freiburg i. Br. 1999; tr. it. E cosa viene dopo la fine? Sulla fine del mondo e sul compimento finale, sulla reincarnazione e sulla risurrezione, Queriniana, Brescia 2001, pp. 53-90 (secondo l’A. vi sarebbe una «intrinseca concordanza tra il sentimento moderno della vita e la dottrina della reincarnazione»: in Occidente alla vita il senso “va dato” e dunque, per compierlo, è allettante la prospettiva di «sempre nuove forme di esistenza terrena»); più ampiamente (e in prospettiva anche interreligiosa) H. Vordermayer, Die Lehre vom Purgatorium, cit., pp. 200-216.